Storie di Stragi Rosse

Polonia – 17 settembre 1939, lo scenario è quello del secondo conflitto mondiale. A fotografare perfettamente il contesto storico della Polonia, terra di mezzo tra la dittatura di Hitler e quella di Stalin, è l’esaustiva scena iniziale: due file di profughi marciano una da est, in fuga dall’invasore russo, e l’altra da ovest, incalzata dal nemico tedesco. Uomini, donne e bambini si incrociano, correndo in direzioni opposte, sul medesimo ponte incerti sulla direzione da prendere, senza alcuna via di fuga, negli occhi solo sgomento.

Difficile da pronunciare tanto quanto ricordare, sulla cartina geografica “Katyn” è un bosco nell’attuale Bielorussia, lo stesso bosco in cui furono massacrati dall’esercito sovietico dell’Armata Rossa più di 20.000 ufficiali polacchi. Dal luogo di questo massacro prende il nome l’ultimo capolavoro di Andrzej Wajda, regista polacco tra i più capaci, veterano del 1962. La pellicola nasce dall’adattamento cinematografico del romanzo Post Mortem di Andrzej Mularski nel quale sono chiaramente descritte le truci vicende che segnarono la Polonia tra il 1940-’45.

Wajda, che a Katyn perse il padre, racconta la vicenda attraverso un filone di storie. La principale vede come protagonista Anna, moglie di un capitano di Cavalleria polacco. Ritratto di una donna che invano attende il ritorno a casa del suo uomo, Anna, come tante altre donne, si troverà di fronte alle prove dell’esecuzione del marito.  

Un film crudo e violento, fatto di strazianti verità storiche, racconti cui è difficile restare indifferenti. Nella costruzione delle scene, alle singole vicende dei soldati polacchi – ognuno con la propria storia, tutti uniti in nome di una Polonia liberata – Wajda intervalla fotografie e immagini del massacro riprese dal vero. Particolare, inoltre, la sovrapposizione dei due fronti: i soldati, intrepidi combattenti per il proprio Paese da un lato, e le mogli, madri, sorelle in fiduciosa e paziente attesa dall’altro. Sono proprio le donne, forti tanto quanto i loro soldati, a lottare per la verità e il riscatto della loro memoria.

Contrariamente a quanto venne ufficialmente detto, infatti, furono i russi, tanto quanto i nazi-fascisti, a compiere i più truci massacri nei campi di concentramento. I 20.000 uomini morti a Katyn e nei campi vicini erano stati prigionieri dei comunisti. Non un esercito qualunque il loro ma un’armata d’elite composta da ingegneri, medici, professori, avvocati, la stessa elite che avrebbe dovuto costruire la nuova nazione polacca. Per anni le responsabilità di Katyn vennero imputate ai tedeschi. Solo molto tempo dopo, per bocca di Gorbaciov nel 1990, venne riportata alla luce la verità: quel genocidio era stato voluto da Stalin.


 
 

Federica Motta

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