Storia di Marco, morto a 12 anni per grave errore medico Il papà: «Ho perso tutto, bastava un semplice esame»

«Inquietante appare il referto dell’unica ecografia addominale eseguita in data 23.05.2011 ove il sanitario riferisce che le condizioni cliniche del paziente non permettono un’adeguata esplorazione degli organi addominali ma pur tuttavia riesce ad individuare alcune dismorfie, ma non pone in evidenza l’ipotesi di ripetere l’esame, infatti non vi è, nel corso dei day-hospital successivi, nessuna indagine di ripetizione dell’Ecografia addominale che a nostro avviso risultava necessaria in quanto trattavasi di un bambino con insufficienza renale e quindi si doveva monitorare opportunamente con esame ecografico l’andamento della morfologia renale nel contesto addominale».

Questo è uno stralcio della perizia del medico legale di parte della famiglia di Marco, morto a 12 anni la notte tra il 13 e il 14 maggio 2012 per quello che è stato accertato come «un grave errore medico». In queste parole c’è tutto il dramma di un bambino, che ha sofferto per tutta la vita, ma che ha lottato sempre per vivere. E quando sembrava che ce l’avesse fatta, un errore lo ha portato via. Non gli sono stati fatti i controlli che gli avrebbero dovuto fare e così quel tumore che sembrava sconfitto è cresciuto di nuovo, silenzioso e quando se ne sono accorti, per un puro caso, era troppo tardi. 

Luigi Esposito, il papà, ha sempre lottato per il suo bambino e, infatti, la prima volta Marco finì sulle pagine dei giornali nel dicembre 2003. Aveva 4 anni e Luigi inviò una lettera a tutte le redazioni per raccontare quello che stava succedendo. Si pensava che avesse una malattia metabolica rara e il medico del reparto dell’Ospedale dei Bambini, che si occupava di circa 70 pazienti, aveva vinto un concorso di primario ad Agrigento. «Da un giorno all’altro praticamente andò via – racconta a MeridioNews Luigi -. A quel punto io chiamai tutti i giornali possibili e immaginabili e andai anche sui tg nazionali. La situazione di mio figlio rientrò, da altri esami venne fuori che non aveva la malattia, ma ho comunque portato avanti una battaglia che non era solo mia ma di tanti altri genitori».  

Nel 2001 i medici diagnosticano a Marco, che a quel tempo aveva due anni, un nefroblastoma e viene sottoposto così a una nefrectomia sinistra. Comincia la chemioterapia e il decorso post-operatorio sembra andare per il verso giusto «Mio figlio – continua Luigi –  viene dichiarato guarito al 100 per cento. A creare qualche problema però era la sindrome di Fanconi, da tenere costantemente sotto monitoraggio perché causa di insufficienza renale. Insomma sapevamo a cosa andavamo incontro altrimenti, alla dialisi». 

I controlli continuano nel reparto di nefrologia pediatrica dell’Ospedale dei bambini, fatti in regime di day hospital. «Nel 2011 ne fanno nove. Lo conoscevano benissimo – racconta ancora papà Luigi -. Nel corso degli anni, come da protocollo, nel reparto effettuavano l’ecografia annuale, ma nelle ultime due fatte, quella del settembre 2010 e quella del 23 maggio 2011, non riuscirono a vedere nulla, perchè dissero che c’era aria. Insomma non si potevano veder gli organi interni, ma non mi dissero di farne un’altra, per loro la prassi era stata seguita, l’ecografia annuale era stata fatta e, quindi, non andarono oltre, non programmarono nuovi esami». 

Poi la scoperta, casuale, di quel che stava accadendo. «Il 5 dicembre 2011 andammo al Policlinico per un consulto genetico dalla dottoressa Maria Piccione, che non smetterò mai di ringraziare, e lei semplicemente toccando l’addome di Marco, si accorse che qualcosa non andava. Sentì al tatto una massa grossa e così il 7 dicembre facemmo una tac e con l’esito ci recammo all’Oncoematologia del Civico, dal dottor Paolo D’Angelo il primario che lo aveva seguito dal 2001 al 2006, il tempo necessario per dichiararlo guarito era trascorso e infatti non lo aveva più in cura. Dall’esame che gli portammo si vedeva la massa sviluppata». 

Ne seguì una biopsia e la tragica notizia: una recidiva del nefroblastoma, cresciuta indisturbata fino alle dimensioni di 10cm x 5cm

Inizia il calvario di Marco, la chemio pre-operatoria e chemioterapia intensiva che producono atroci sofferenze, ma nessuna riduzione del tumore. «Era il 3 gennaio 2012, lui andava peggiorando, la massa tumorale aveva iniziato a sfaldarsi con la nuova chemio. Doveva essere operato, ma l’emorragia si fermò e non venne operato. Doveva riprendere la chemio a maggio, ma era disidratato. Andammo per una seduta di idratazione. Era il 13 maggio. Marco va in arresto cardiaco, viene rianimato a fatica, dopo 40 minuti. Alle 2 di notte va di nuovo in arresto cardiaco e poi muore lì, alla terapia intensiva dell’Ospedale dei bambini». 

È dura per Luigi raccontare quegli attimi. È dura ascoltarlo. «Nessuno può capire cosa si prova – aggiunge -. Io ho lottato e continuo a farlo affinché nessuno debba passare quello che abbiamo passato noi. Mi sono ritrovato distrutto, ho perso tutto in un paio di anni. Avevo lasciato il mio storico lavoro di edicolante per trasferirci a Torino in cerca di un futuro migliore, l’anno in cui scoprirono la recidiva. Dopo la morte di Marco mi sono rivolto a una di queste associazioni che si occupa di questi casi di malasanità e sono stato seguito da un team di legali. A me del risarcimento non me ne frega nulla, a me interessa che venga riconosciuto nero su bianco che hanno sbagliato e posso raccontarlo al mondo intero e chissà che non cambi qualcosa. Ho perso tutto, ma la morte del mio bambino non può essere vana. Adesso io posso gridare al mondo quello che è successo. Forse dovevo andare sul penale, non lo so, a volte me lo chiedo, ma volevo avere giustizia e, dall’altro lato, chiudere questa storia una volta e per tutte, volevo interrompere questo inferno il prima possibile». 

Il dibattimento stragiudiziale è durato tre anni e la relazione medico-legale ha messo nero su bianco il modo in cui sono andate le cose. Tragiche le parole scritte: «Si può quindi affermare – si legge nella relazione – che vi fu grave negligenza da parte dell’ecografista della Nefrologia pediatrica dell’Ospedale Di Cristina di Palermo e di tutti i sanitari dell’unità operativa nel non ritenere opportuno un approfondimento diagnostico con ecografia, TC o RMN addominale, visto le condizioni del bambino e tenuto conto che l’ecografia del 23.05.2011 non era risultata risolutiva nell’affermare un quadro clinico indenne. Si segnala altresì che in un soggetto affetto da insufficienza renale cronica, devono essere eseguite necessariamente ecografie di controllo. Si trattava infatti di un bambino affetto da pluripatologie ed in particolare da Nefroblastoma che nonostante il conseguimento della guarigione clinica con postumi, doveva far sorgere dubbi di un eventuale ripresa di malattia. Si può quindi affermare  – continua la relazione – che siamo in presenza di una grave perdita di chance non avendo dato modo al piccolo di potersi curare adeguatamente e quindi di non essere stato messo in grado, per un errore diagnostico e successivo errore terapeutico, di curare adeguatamente la malattia neoplastica».

Alla fine è arrivata una “vittoria” per  la famiglia Esposito, dopo lunghe trattative e dibattimenti sul riconoscimento del grave errore medico di cui è rimasto vittima il minore, ecco il risarcimento di 170 mila euro per i danni materiali e immateriali, patrimoniali e non patrimoniali. E a tutela della sorella minore, infine, si è pronunciato il tribunale di Palermo, sotto la cui giurisdizione verrà amministrata la quota del risarcimento di 30 mila euro. 

Martina ha 6 e mezzo, quando suo fratello è morto di anni ne aveva tre. «Chiede spesso di lui – racconta Luigi – e dorme stretta ad un bambolotto che ha chiamato Marcuccio». 

Marta Genova

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