Stella cadente, la culla della droga a San Cristoforo «Ti sei fatto arrestare e mi hanno dato 300 euro»

Undicimila euro al giorno. Grazie a una strada che resta la culla dello spaccio, e in cui le operazioni antimafia vengono considerate soltanto dei meri incidenti di percorso. In via Stella Polare, nel quartiere San Cristoforo, gli affari passano dalla vendita di marijuana e cocaina. L’ultima retata dei carabinieri, ribattezzata Stella cadente, ha messo sotto i riflettori una nuova truppa di giovani leve, tra cui alcuni minorenni. Tanti in passato, partendo proprio da quel pezzo di città, hanno fatto passi da gigante dentro Cosa nostra a Catania. Dal boss Rosario Lombardo ai fratelli Daniele e Giovanni Nizza. Il nuovo capo della piazza di spaccio, secondo gli inquirenti, sarebbe stato Mario Marletta. Non ancora 30enne e con alcuni problemi con la giustizia alle spalle, ma capace di avere a disposizione un drappello di luogotenenti pronti a raccoglierne le direttive. Chiamati a rispondere alla rigida organizzazione dei turni e alle varie mansioni di pusher e vedette. Tra i reati contestati però non c’è quello legato all’appartenenza alla mafia.

«Durante l’indagine – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – si è riscontrato che i nuovi pusher che avevano sostituito i precedenti, arrestati e condannati, provenivano dal quartiere Librino, zona d’influenza della famiglia Nizza». Lo stesso Marletta prima di essere arrestato viveva nei palazzoni al viale Moncada 10, ovvero nello stesso stabile in cui si è fatto le ossa Andrea Nizza, oggi detenuto al carcere duro ma riconosciuto come l’ultimo grosso trafficante di droga partito da Librino. Ad avere stretti rapporti con Marletta sarebbe stato in particolare Giovanni Privitera. Il padre di quest’ultimo, Giuseppe detto ricciolino, era finito in manette nel 2012 nell’operazione Stella polareDi per sé nulla di strano se non fosse che la retata aveva fatto luce sullo smercio di droga nella stessa via in cui è subentrato il figlio. Ma c’è di più. Giuseppe Privitera, inserito nel gruppo di Nizza, era stato anche il destinatario di una condanna a morte arrivata dal carcere di Bicocca. Punizione esemplare per vendicare l’uscita di scena del clan Cappello per mano dei fratelli Daniele e Giovanni Nizza

A gettare altra benzina sul fuoco intorno al nome di Giovanni Privitera sono anche alcune intercettazioni ambientali, trascritte nelle carte dell’operazione. A settembre 2017 i carabinieri entrano a casa di Dario Lo Presti. Cercano soldi e droga. L’uomo non è presente ma si consegna poco dopo ai militari. Dietro quel gesto ci sarebbe stata una precisa assicurazione, ovvero che «l’organizzazione avrebbe pensato alla sua famiglia». Qualche giorno dopo, quando in carcere vanno a trovarlo la moglie e il fratello, ci sono le cimici a registrare. «Ho detto che eri andato a consegnarti – dice il parente al detenuto  – Ha preso 300 euro e me li ha dati». Le voci spesso si accavallano e i dialoghi sono incomprensibili. Di certo c’è che dopo l’arresto, e la consegna della prima somma di denaro, Lo Presti e la compagna sarebbero stati messi alla porta. «Oggi al signor Giovanni gli ho chiamato fino a questa mattina ma non mi ha risposto», insisteva il parente. «Se ne può andare a prostituirsi», gli rispondeva Lo Presti.

Il flusso di droga in via Stella Polare sarebbe stato garantito anche grazie al ruolo rivestito da Angelo De Luca. Ribattezzato dagli investigatori come «il custode dello stupefacente» o «il lanciatore». Finito in manette per una condanna per droga, De Luca stava scontando la pena agli arresti domiciliari. Dal suo balcone però avrebbe continuano a restare nel giro. Prendendo in carico, attraverso un secchio blu calato dal balcone di casa, la droga da tagliare e «distribuire agli spacciatori in strada che ne facevano richiesta». Così da evitare pericolosi arresti in flagranza con le tasche piene di marijuana e cocaina. 

Dario De Luca

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