LA LETTERA DEL PRESIDENTE AI GIUDCI DI PALERMO
Non ha niente da aggiungere, né da condividere sul periodo delle stragi. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo scrive nella lettera inviata alla corte dAssise di Palermo che celebra il processo sulla trattativa Stato-Mafia. Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di potere fare se davvero ne avessi da riferire. Napolitano, era stato citato come teste per riferire di una lettera ricevuta dal suo consigliere giuridico Loris DAmbrosio, morto per un infarto nel luglio 2012, e coinvolto in uno scambio di telefonate con lex ministro degli Interni nel 92, Nicola Mancino. In quella missiva del 18 giugno 2012 DAmbrosio, riferendosi alla stagione che va dall89 al 93 dal fallito attentato contro Giovanni Falcone allAddaura alle stragi in Continente -, esprimeva il timore di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi.
Ecco il testo integrale della missiva di Napolitano, depositata questa mattina in cancelleria:
“Signor Presidente, la Corte da Lei presieduta – esercitando la facolta’ attribuitale dal vigente art. 205, comma primo, del codice di procedura penale – ha deciso con ordinanza del 17 ottobre, di ammettere, nei limiti che la stessa ordinanza indica, la testimonianza del sottoscritto Presidente della Repubblica richiesta dal pm. “Ritengo in proposito doveroso farle presenti le seguenti circostanze:
a) la lettera indirizzatami il 18 giugno 2012 dal dottor Loris D’Ambrosio, con la quale egli volle rimettermi l’incarico (da me conferitogli il 18 maggio 2006) di consigliere per gli Affari dell’Amministrazione della giustizia, e’ stata, per mia libera iniziativa, pubblicata nella raccolta di miei interventi del periodo 2006-2012 “Sulla giustizia”. Quella mia iniziativa, di certo non dovuta, corrispose a un intento di massima trasparenza nel documentare e onorare il travaglio umano e morale del consigliere D’Ambrosio, provocato dalla diffusione, sulla stampa, di testi registrati (non si sa quanto correttamente e integralmente riprodotti) di conversazioni con il senatore Mancino, intercettate dalla Procura di Palermo, e da cui venivano ricavati elementi di grave sospetto su comportamenti tenuti dal mio collaboratore.
b) Quella lettera era caratterizzata da profonda ‘amarezza e sgomento’ e direi anche indignazione per interpretazioni (dello scambio di telefonate con il senatore Mancino) e piu’ in generali, arbitrarie insinuazioni che colpivano la costante linearita’ della condotta tenuta dal dottore D’Ambrosio, in modo particolare rispetto all’impegno dello Stato nella lotta contro la mafia;
c) Il giorno seguente, 19 giugno 2012, lo invitai nel mio studio – alla presenza del segretario generale della Presidenza della Repubblica – per tentare di rasserenarlo, e per confermargli stima e fiducia e farlo anche per iscritto, consegnandogli la lettera (inserita poi a sua volta nella pubblicazione da me gia’ ricordata – con la quale lo invitavo a mantenere l’incarico di mio consigliere;
d) Per quel che riguarda il passaggio della lettera del consigliere D’Ambrosio cui fa riferimento la richiesta di mia testimonianza ammessa dalla Corte, non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di potere fare se davvero ne avessi da riferire e tenderei a fare anche indipendentemente dalle riserve espresse dai miei predecessori Cossiga e Scalfaro sulla costituzionalita’ della norma di cui all’art. 205 del c.p.p. “Dei problemi relativi alle modalita’ dell’eventuale mia testimonianza, la Corte da lei presieduta e’ peraltro certamente a consapevole come ha – nell’ordinanza del 17 ottobre – dimostrato di esserlo dei ‘limiti contenutistici’ da osservare ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2012.
“L’essenziale e’ comunque il non aver io in alcun modo ricevuto dal dottor D’Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione circa le ‘ipotesi’ – ‘solo ipotesi’ – da lui ‘enucleate’ e il ‘vivo timore’, di cui il mio consigliere ha fatto generico riferimento sempre nella drammatica lettera del 18 giugno, rinviando al suo scritto inserito, come sapevo, nel recente volume di Maria Falcone. Ne’ io avevo modo e motivo – neppure riservatamente, nel colloquio del 19 giugno – di interrogarlo su quel passaggio della sua lettera. Ne’ mai – data la natura dell’ufficio ricoperto dal dottor D’Ambrosio durante il mio mandato come durante il mandato del presidente Ciampi – ebbi occasione di intrattenermi con lui su vicende del passato, relative ad anni nei quali non lo conoscevo ed esercitavo funzioni pubbliche (presidente della Camera dei deputati) del tutto estranee a qualsiasi responsabilita’ di elaborazione e gestione di normative antimafia.
“Cosi’ stando le cose, sottopongo queste precisazioni alla sua attenzione affinche’ la Corte possa valutare nel corso del dibattimento, a norma dell’art. 495, co.4, c.p..p., il reale contributo che le mie dichiarazioni, sulle circostanze in relazione alle quali e’ stata ammessa la testimonianza, potrebbero effettivamente arrecare all’accertamento processuale in corso. “Con viva cordialita’
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