Stato-mafia, il triangolo Violante-Mori-Ciancimino «Trattativa? Per me normali negoziazioni di polizia»

«Quando Mori venne da me nel ’92 non c’era alcun sospetto di trattativa». A parlare è Luciano Violante, ex presidente della Commissione antimafia negli anni delle stragi del ’92 e del ’93. Già sentito in primo grado, viene risentito oggi al processo d’appello sulla trattativa fra Stato e mafia per chiarire soprattutto i contorni di tre incontri col generale Mario Mori, tra gli imputati del processo, dopo alcune puntualizzazioni spontanee rese da quest’ultimo in primo grado, nel 2016. Secondo Mori nella seduta della Commissione del 20 ottobre ’92, in un colloquio privato tra i due, l’allora presidente Violante gli avrebbe chiesto un parere sulla possibilità di procedere all’audizione dei collaboratori. Circostanza che oggi l’ex presidente della Camera smentisce categoricamente: «Era priva di senso chiedergli questa cosa, se c’era un problema era politico e non tecnico, nel senso se fosse opportuno sentirli in quel contesto, da parte di una Commissione antimafia – spiega Violante -. I pentiti per terrorismo d’altro canto erano stati in passato sentiti dalla Commissione antiterrorismo, non vedo perché non avremmo dovuto sentire noi i pentiti di mafia. Ripeto, sarebbe stato illogico da parte mia chiedere un parere al colonnello Mori».

Un altro nodo da sciogliere è quella sulla mancata convocazione di Vito Ciancimino proprio in Commissione antimafia. Sul quale, di nuovo, i ricordi di Violante e di Mori a tratti si sovrappongono, a tratti si respingono. «Se sapevo che Ciancimino era disponibile non lo sapevo certo da Mori, io non volevo dargli un ruolo di tramite tra lui e la Commissione, un ruolo che non ritenevo corretto», spiega oggi l’ex presidente. Che conosce Mori dal lontano ’73-’74, quando Violante si sta occupando di terrorismo nero, «era un eccellente investigatore», dice oggi di lui. Durante la sua presidenza a capo della Commissione antimafia, Mori avrebbe chiesto a Violante di sentire Ciancimino. «Sulla richiesta di Violante di sentire in Commissione i pentiti, a partire da Buscetta, io espressi parere favorevole. Fu proprio quell’intenzione manifestata che mi indusse a rivelargli che avevo iniziato un rapporto confidenziale con Ciancimino, ancora in stato di libertà, che mi aveva chiesto anche di essere sentito dalla Commissione antimafia». Ma Violante oggi aggiunge, a proposito di quella richiesta partita da Ciancimino stesso e veicolata da Mori, che i toni dell’allora colonnello furono ben diversi: «Mori mi chiese di sentirlo riservatamente, ma io risposi subito che non facevo incontri riservati. “Come cortesia”, disse ancora lui, perché Ciancimino aveva delle cose rilevanti da dire. Una richiesta che non mi sembrò inerente ad alcuna trattativa, comunque, mi sembrava una normale negoziazione di polizia. Conoscendo Mori, non mi stupì che potesse prendere un’iniziativa del genere». Un metodo, secondo Violante, che avrebbe spesso portato a dei risultati e che per questo sarebbe stato seguito anche da alcuni uomini di Mori stesso.

Intanto, Ciancimino aveva anche scritto, all’epoca, un libro sulla mafia, che Mori consegna a Violante alcuni giorni dopo quella prima richiesta, ribadendola nuovamente. «Trovai quel libro banale – dice oggi Violante -, e risposi che Ciancimino sarebbe stato sentito da tutta la Commissione, non in privato da me. Mori mi disse che di quei suoi contatti con Ciancimino non aveva avvertito l’autorità giudiziaria perché, disse, si trattava di una cosa o di una questione politica, non ricordo l’espressione esatta che utilizzò, e non voleva rivelare le sue fonti confidenziali. Ma intanto poi negherà di avermi fatto quella richiesta di sentirlo in maniera riservata». Entrambi, sia Violante che Mori, intanto, ricordano i tre distinti incontri, ma li collocano in date diverse. «Ciancimino chiedeva di essere sentito senza condizioni, era arrivata alla segreteria una lettera il 29 ottobre. Sulla busta non c’è francobollo né timbro postale e quindi presumo che sia stata consegnata a mano – racconta Violante -. Se davvero Ciancimino avesse deciso di venire in Antimafia prima del 20 ottobre sarebbe singolare l’attesa di dieci giorni per l’invio della richiesta formale. Più credibile mi sembra che egli abbia comunicato al colonnello Mori tale decisione dopo il 22, data nella quale io non ne avevo parlato in Commissione perché non conoscevo questa intenzione, e prima del 27, data nella quale io, informato dal colonnello, informai a mia volta l’ufficio di presidenza. Così potrebbe spiegarsi la consegna alla Commissione della lettera di Ciancimino il 29 ottobre».

Prima di decidere, però, occorre prendere le dovute cautele e avere un quadro completo soprattutto degli intrecci tra mafia e politica. Anche perché Ciancimino avrebbe voluto parlare, tra le altre cose, anche dell’omicidio Lima. Se avesse fornito informazioni rilevanti dal punto di vista giudiziario, avrebbe dovuto essere sentito dai magistrati che stavano indagando sul caso. «Ciancimino intendeva fornire motivazioni politiche degli omicidi di mafia – racconta Violante -. Ma non volevamo offrire un palcoscenico a un personaggio discutibile. Comunque il 29 ottobre proposi alla Commissione di sentirlo, lui poi fu arrestato il 19 dicembre ’92 e venne ascoltato dall’autorità giudiziaria per tutto il ’93. C‘era molta diffidenza da parte di molti colleghi a sentirlo, altri dell’opposizione avrebbero voluto solo per alimentare alcune polemiche politiche. C’era da capire se questa cosa avrebbe solo creato un momento di confusione o se sarebbe servita a qualcosa, tenendo conto che Ciancimino all’epoca non era il personaggio diventato poi, a partire dalla sua collaborazione». Si decide comunque di procedere. Ma di fatto quell’audizione, una volta ottenuto parere favorevole, non verrà mai nemmeno calendarizzata dalla Commissione, che sarebbe rimasta in attesa, a detta di Violante, di accordarsi con la Procura di Palermo rispetto ai tempi. «Le Camere vennero sciolte il 16 gennaio ’94. Questa è la ragione della mancata convocazione di Vito Ciancimino».

«A riprova dell’intento della Commissione di documentarsi nei confronti di questo personaggio – aggiunge ancora Violante -, il suo nome ricorre più di 150 volte nei resoconti stenografici delle 89 sedute della Commissione». Torna in ballo, poi, anche il confronto nel ’91 con l’allora procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco sul famoso fascicolo d’indagine su mafia-appalti. Inchiesta per cui il 13 luglio ’92 la procura chiede l’archiviazione, depositata il giorno dopo la strage di via D’Amelio, il 20 luglio. «Giammanco mi chiese di incontrarci prima delle stragi. Più volte mi chiese di incontrami e cercava di illuminarmi sull’inconsistenza di quel rapporto – dice oggi Violante, riferendosi appunto all’indagine mafia-appalti. Chiesi al generale Mori a che punto fossero le indagini e lui mi parlò della bontà dell’investigazione. Mi colpiva l’insistenza di Giammanco di definire quel rapporto privo di fondamento». Quel rapporto è l’indagine del Ros dei carabinieri sul sistema di infiltrazione di Cosa nostra nelle commesse pubbliche in Sicilia, depositata al giudice Giovanni Falcone nel febbraio del 1991. A cui Violante era piuttosto vicino. «Eravamo molto amici io e Falcone, ricordo che lo vidi molto preoccupato come mai lo avevo visto prima, fece un accenno a questa questione, riteneva importante quell’indagine mafia-appalti».

«La mafia ha sempre cercato un rapporto con lo Stato, è la storia della mafia – dice ancora, più avanti, Violante -. Qualche volta l’ha trovato, altre volte no. Mi costava, comunque, che il 41bis fosse particolarmente penoso e restrittivo per i detenuti, in quelle condizioni non avrebbero potuto avere nessun rapporto col mondo esterno, coi famigliari. All’epoca quel regime carcerario era stato deciso anche per persone per cui non ricorrevano particolari elementi di pericolosità. Ora non posso escludere di aver fatto delle richieste per avere un report sull’andamento di quel regime all’epoca al ministro Conso, col quale avevo un certo rapporto, ma non ci fu risposta e non ho mai sollevato formalmente in ambito politico la questione, non c’erano le condizioni per farlo».

Silvia Buffa

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