«La mia applicazione a questo processo termina qui. Un processo che ho seguito dall’inizio e che ha portato tante polemiche. Ho capito subito che avrei pagato un costo. Hanno più volte detto che le nostre azioni erano caratterizzate da finalità eversive. Nessuno ci ha difeso. Era tutto in conto». Si conclude con queste parole amare del pm Nino Di Matteo la lunga requisitoria dei magistrati nell’aula bunker dell’Ucciardone, dove si celebra il processo sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia.
Oggi è una giornata campale, quella della richiesta di condanne complessive a 90 anni di reclusione per i nove imputati. Sono i boss mafiosi Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonino Cinà. E poi i carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, accusati di violenza e minaccia a corpo politico, amministrativo e giudiziario dello Stato. E ancora Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia De Gennaro, e i politici Marcello Dell’Utri e Nicola Mancino, quest’ultimo deve rispondere di falsa testimonianza. Manca all’appello il decimo e ultimo imputato, Totò Riina, morto a novembre.
«I giudici non hanno avuto coraggio e hanno dato una lettura parcellizzata dei fatti» ha detto Di Matteo riferendosi ai colleghi che hanno assolto i carabinieri del Ros prima nel processo sulla mancata perquisizione del covo di Riina, poi sulla mancata cattura di Provenzano. Il pm, nel chiudere la requisitoria del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, ha rimproverato i magistrati giudicanti che finora hanno sempre mandato assolto il generale Mario Mori, oggi imputato al dibattimento sul presunto patto tra pezzi delle istituzioni e Cosa nostra e accusato dei due episodi. Per Mori la Procura oggi ha chiesto 15 anni. «Questa vicenda – ha detto – sconta una lettura atomizzata dei fatti» Per i pm sia la mancata perquisizione che la mancata cattura di Provenzano rientrerebbero tra le concessioni che i militari del Ros fecero alla mafia negli anni delle stragi proprio in ossequio alla trattativa.
Dopo la chiusa di Di Matteo, ecco le richieste: condanna a 16 e 12 anni per Bagarella e Cinà. Chiesta, invece, l’applicazione dell’attenuante speciale prevista per i collaboratori di giustizia e la prescrizione per le accuse contestate a Brusca. Stessa richiesta di prescrizione per l’accusa di concorso in associazione mafiosa per Ciancimino, per il quale però vengono chiesti cinque anni per il reato di calunnia. Per i pm le condotte di concorso in mafia sarebbero cessate con la cattura del boss Riina, a gennaio 1993, per questo la richiesta di dichiararle prescritte.
Non si è fatta attendere la reazioni dei legali di Marcello Dell’Utri, gli avvocati Giuseppe Di Peri e Francesco Centonze: «A seguito delle conclusioni oggi formulate dai pubblici ministeri di Palermo nell’ambito del procedimento sulla cosiddetta trattativa stato-mafia, non possono che rilevare l’abnormità della pena di anni 12 richiesta nei confronti del loro assistito». «Quest’ultima – si legge ancora nella nota diffusa dai difensori – non è altro che la risultante ad effetto di una requisitoria fondata su costruzioni accusatorie fantasiose e assolutamente sganciate dalla realtà, come sarà dimostrato nel momento in cui verrà finalmente data la parola alla difesa», hanno concluso. Dell’Utri è accusato di minaccia a corpo politico dello Stato.
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