La procura generale ha chiesto la condanna a nove anni di carcere dell’ex ministro Calogero Mannino, imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato nel processo d’appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Mannino, assolto in primo grado, ha scelto il rito abbreviato ed è giudicato separatamente rispetto agli altri imputati per cui è in corso il processo d’appello.
Il processo di secondo grado a carico di Mannino è cominciato il 10 maggio 2017 davanti ai giudici della prima sezione della corte d’appello di Palermo, presieduta da Adriana Piras. Due anni di udienze, dunque, con una riapertura dell’istruttoria dibattimentale in cui, tra gli altri, è stato risentito il pentito Giovanni Brusca. La tesi della procura generale, che ha chiesto la stessa pena invocata in primo grado, è che Mannino nella lista dei nemici che Cosa nostra aveva deciso di eliminare per «saldare i conti» con chi non aveva mantenuto i patti, avrebbe avviato, grazie ai suoi contatti con gli ufficiali del Ros, una sorta di trattativa con le cosche per salvarsi la vita.
Una ricostruzione, bocciata tuttavia dal gup, che vede nell’ex democristiano il «motore» del dialogo che pezzi dell’arma, con coperture politiche, avrebbero avuto con i boss per fare cessare la stagione delle stragi. Un patto che avrebbe avuto come prezzo per le istituzioni l’impunità per il boss Bernardo Provenzano, una linea meno rigorosa nel contrasto ai clan e un alleggerimento del carcere duro per i mafiosi. «Le acquisizioni probatorie confermano inoppugnabilmente il timore dell’onorevole Mannino di essere ucciso, così come sostenuto dall’accusa, e le sue azioni per attivare un turpe do ut des per stoppare la strategia stragista avviata da Cosa nostra», dice il pg Sergio Barbiera, che sostiene l’accusa assieme al collega Giuseppe Fici. Il processo a Mannino è cominciato nel 2012, il 4 novembre del 2015 c’è stata l’assoluzione e un anno dopo è stata depositata la sentenza.
«La richiesta che l’ufficio dell’accusa ha avanzato è priva di ogni fondamento e prova – replica Mannino – Se prova c’è, è quella di una pretesa pregiudiziale e fantasiosa. Anche alla stregua della stessa sentenza Montalto. Che tutta la trattativa si riduca alla paura del sottoscritto e dalla sua ispirazione ad un generale dei carabinieri è soltanto una notizia falsa, è tesi priva di fondamento e consistenza, e quindi di prova. Sottolineo che la richiesta dei sostituti procuratori generali non è giudizio. Attendo fiduciosamente quello».
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