«Un inquietante contesto criminoso». Queste le parole degli inquirenti per descrivere il sistema che avrebbero messo in piedi, negli anni, tecnici del Comune e non solo per piegare la pubblica amministrazione ai propri interessi personali. Sette le persone coinvolte nel blitz di stamattina di carabinieri e guardia di finanza. Nomi eccellenti, in un certo senso, tra cui spicca quello di Mario Li Castri. Un nome, il suo, che viene fuori prima da accertamenti e intercettazioni scattate dopo le anomalie emerse nel 2017 in seno agli uffici comunali, poi dalla bocca di Filippo Bisconti, capo della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno, arrestato a dicembre 2018 nell’operazione Cupola 2.0 e divenuto, poco dopo, un collaboratore. «È tutta una cricca, una cricca a tutti gli effetti», ha spiegato ai magistrati il boss pentito. Descrivendo Li Castri come «persona di Emilio Arcuri al 100% e del sindaco Orlando pure». Lo stesso che oggi, durante la conferenza stampa a Palazzo delle Aquile, ha preso le distanze dal funzionario, spiegando di non aver mai intrattenuto alcun rapporto personale con lui, ma di averlo incontrato sempre e solo per ragioni d’ufficio.
Intanto, per lui come per gli altri personaggi coinvolti nell’inchiesta di oggi, il gip Guarnotta usa parole piuttosto dure. Sottolineando come, addirittura, per gli «odierni indagati la corruzione altro non sia che un vero e proprio habitus mentale che ne connota l’agire quotidiano. In tal senso, i pubblici ufficiali coinvolti nella presente indagine hanno palesato in modo inequivoco la propria infedeltà agli apparati pubblici in cui si trovano incardinati – si legge nelle carte -, interpretando i rispettivi munera (cioè regali, ndr) quali appetibili beni da mettere sul mercato onde conseguire continui vantaggi indebiti». A emergere dalle indagini è, tra le altre cose, il significativo rapporto che legherebbe da molti anni Li Castri e un altro degli indagati finito ai domiciliari, Giuseppe Monteleone, per il gip uniti da una «paradigmatica relazione illecita plurieannele». Hanno dimostrato «ormai da un decennio» nel loro agire amministrativo una «allarmante spregiudicatezza». Ne è convinto il gip di Palermo, per il quale entrambi hanno «a tutti gli effetti trasformato gli incarichi pubblici di volta in volta ricoperti nell’ambito del Comune di Palermo in attività di carattere eminentemente privato ed imprenditoriale, esercitate con l’unica finalità di conseguire vantaggi economici indebiti mediante l’illecito mercimonio delle proprie funzioni».
Un quadro allarmante, specie in considerazione dei ruoli ricoperti fino a oggi da entrambi. Li Castri, infatti, tra il 2015 e il 2018 ha ricoperto ruoli apicali nell’area tecnica comunale, mentre Monteleone tra il 2014 e il 2017 ha diretto prima lo Sportello unico dell’edilizia e in seguito lo Sportello unico per le attività produttive. «Entrambi continuano inevitabilmente a esercitare ruoli di assoluto peso all’interno dell’organizzazione comunale – scrive il gip -, vantando evidentemente contatti e, verosimilmente, anche una certa quota di autorità nei confronti di tutto il personale in servizio presso l’Ente locale». Tanto da rendere l’area tecnica del Comune «una sorta di privilegiato punto di osservazione dal quale individuare le speculazioni edilizie potenzialmente più redditizie al fine di pilotare i correlati procedimenti amministrativi e di insinuarsi nelle stesse, sollecitando ai costruttori più malleabili la corresponsione di regalie di varia natura ed in particolare l’assegnazione degli incarichi professionali, legati alle medesime speculazioni, ai professionisti a loro più vicini».
Sottolineando, sia per Li Castri che per Monteleone, la «loro estrema vicinanza che, sia pure sino all’anno 2015, entrambi hanno avuto con un esponente di Cosa nostra del rango di Bisconti, apparendo francamente poco probabile che i due nulla sapessero – scrive il gip -, o comunque nulla immaginassero, a proposito dei gravi trascorsi giudiziari che, sin dagli anni ’90, avevano caratterizzato la vita del predetto». Quella in ballo con Bisconti, per gli inquirenti, sarebbe una vera e propria «cointeressenza professionale» tra il boss-costruttore e gli indagati. Ci sarebbe anche l’architetto Fabio Seminerio in questo rapporto, progettista dei piani costruttivi e, secondo le indagini, socio occulto del gruppo di professionisti impegnato nella realizzazione di un piano per la riqualificazione edilizia di un’area industriale dismessa in via Messina Marine. «In via Di Blasi…Un edificio l’ha progettato Seminerio, perché me lo disse lui – ha riferito il boss ai pm -. Una volta con lui stavamo andando a Baida assieme con lo scooter e passando di là, parlo un tre anni fa, dico “bel cantiere qua, mi piacerebbe costruire qua”. Lui mi disse “levaci manu, ca c’è a cu c’interessa… Già c’è un certo accordo, ora deve costruire un’altra persona”».
Un incarico, a sentire il racconto di Bisconti ai magistrati, che l’architetto Seminerio avrebbe avuto su input di Li Castri o di Monteleone, che a loro volta avevano ricevuto al Comune le ditte «che dovevano ottenere le autorizzazioni del caso». Sembrano, insomma, rapporti di una certa frequenza e peso, quelli descritti dal collaboratore, che coi magistrati entra nel dettaglio. «L’architetto Monteleone che vedevo sempre allo studio Li Castri, è quello che mi ha offerto il terreno, mi ha dato un appuntamento allo studio Li Castri-Seminerio. Il terreno stava in un traversa di Corso dei Mille, per la costruzione di circa 50 appartamenti in permuta, mi diceva che per qualsiasi cosa per quel terreno avrei dovuto parlare con l’architetto Monteleone, con questa persona qua…sapevo che lui era dirigente al Comune di Palermo, certo, non mi ricordo se in quel periodo era all’ufficio urbanistica, perché ora li hanno accorpati gli uffici, ora è diventato polo tecnico tutto in via Ausonia. Poi lui stesso – dice più avanti -, prima era dirigente all’ufficio urbanistica, poi è diventato dirigente all’ufficio edilizia privata ed era praticamente detto papale papale che era (Monteleone, ndr) in società con l’architetto Li Castri e Seminerio, si dividevano i progetti e si scambiavano i favori sia all’interno dell’ufficio che come approvazione».
«Praticamente di mattina se li riceveva quando c’era l’amministrazione – continua il boss -, l’amministrazione precedente, non ricordo l’architetto, il sindaco Cammarata, lui era dirigente al Comune. In quel caso Li Castri non aveva molta opportunità all’interno del Comune di Palermo perché tutti sapevano che era l’uomo di Orlando, lo mettevano un pochino in disparte. Allora faceva riferimento all’architetto Monteleone, il quale approvava le pratiche, se le approvava a suo modo e consumo. Di pomeriggio praticamente se li riceveva l’architetto allo studio Seminerio-Li Castri». Sussistevano, insomma, ben strutturati rapporti professionali occulti e frequentazioni personali, a dire dei magistrati. Contraddistinti da un atteggiamento diffuso di assoluta «naturalezza» nel gestire quello che sembra a tutti gli effetti un sistema di incarichi, favori e regali. Un sistema in cui, secondo quanto emerso dagli accertamenti tecnici, avrebbe ricoperto un ruolo chiave proprio Li Castri, in virtù del suo ruolo nella Commissione comunale incaricata di selezionare la progettazione per la realizzazione di imponenti lavori pubblici, finalizzati tra l’altro a dotare il Comune di Palermo di ulteriori linee di tram.
Condotte criminose gravissime, quelle descritte dal gip in riferimento al tecnico, specie alla luce non solo dei ruoli ricoperti, ma anche del sostegno palesato dall’ex vice sindaco Emilio Arcuri, «uno dei principali sponsor di Li Castri all’interno della macchina comunale». Che, nel 2018, seppur utilizzando toni ironici, metteva in guardia un’altra dirigente comunale circa i pericolosi appetiti criminali del tecnico finito oggi ai domiciliari: «Guardi che Mario Li Castri alla Mobilità si può fare ricco quindi state attenti dove lo mandate, delinquerà dappertutto – diceva l’assessore raccomandando la collega -, questo imbroglione diventerà ricco alla Mobilità, dove lo mandate lo mandate. Mario non c’ha motivo – diceva più avanti – perché tanto se ne va a rubare pure alla Mobilità, perlomeno ruba sotto il mio controllo, ovviamente sto scherzando…». Arcuri, da poco designato ad entrare nella giunta Orlando dopo il nuovo rimpasto deciso la settimana scorsa, intanto ha scelto di fare un passo indietro e di non entrare nell’esecutivo comunale. Una decisione presa in seguito all’indagine odierna che non lo vede tra gli indagati, ma che colpisce direttamente quel dirigente comunale ritenuto dai più il suo braccio destro.
Arcuri, per gli inquirenti, pare si fidasse ciecamente di lui, malgrado alcune remore avute in passato al momento di firmare alcuni atti inerenti le proposte dei piani costruttivi al centro dell’indagine. A convincerlo era stato proprio Li Castri, «giustificando l’atto amministrativo con il risparmio di cubatura e la riqualificazione delle aree de quibus». «C’era Mario Li Castri, capo area e gli ho detto “Mario, per favore, guarda questi progetti perché” – dice Arcuri intercettato – e mi ha detto “guarda, Emilio, non… non c’è consumo di suolo in più, perché qua ci sono adesso centomila metri cubi, dico per dire, e in realtà i progetti che hanno presentato ne prevedono ciascuno, invece che centomila, ottantacinquemila… Quindi, in termini complessivi c’è un risparmio di quindicimila metri cubi”. Io dico va bene. Il problema che è? – dice più avanti -. Che uno non deve fare un cazzo! La verità è questa…da un lato c’è il privato che ti fa la diffida, dall’altro questo, appena uno si muove… minchia, ti puntano! Corruzione, cose, io non so i fatti e non li voglio sapere… ma i fatti schietti sono questi. E ho chiamato Mario e Mario mi disse “Emilio, io non sono sereno, sono più che sereno! Non è corruzione, cose, io ai problemi posso fare la radiografia, dal primo all’ultimo minuto. Quindi, non ho nessun problema”».
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