«Un’incontenibile avversione alle più semplici regole della convivenza civile, sia con gli operatori sia con i compagni». «Un soggetto pericoloso, tendente alla violenza, turbolento e refrattario alla disciplina». E ancora un’aggressione, insieme ad altri detenuti catanesi nei confronti di un palermitano e cori da stadio contro lo Stato, la polizia e i carabinieri. Sono alcuni dei motivi che hanno portato il Tribunale di sorveglianza di Palermo a infliggere sei mesi di sorveglianza speciale e il controllo della corrispondenza ad Antonino Speziale, ultrà del Catania condannato dalla Cassazione per l’omicidio dell’ispettore Filippo Raciti nel derby del 2 febbraio del 2007. Il suo avvocato Giuseppe Lipera ha presentato ricorso in Cassazione.
Speziale sta scontando al carcere Pagliarelli di Palermo la condanna. Ma il giudice fa riferimento a episodi accaduti anche precedentemente ad Augusta e Agrigento, sottolineando i «modi arroganti e minacciosi tenuti» con la polizia penitenziaria e gli altri detenuti. In particolare si fa riferimento al caso in cui l’ultrà sarebbe riuscito a «eccitare la plateale adesione dei compagni di detenzione a un’iniziativa di tifosi in tv sulla sua liberazione».
Si elencano quindi diversi episodi per cui Speziale è già stato punito: il 6 dicembre del 2012 a Augusta durante una lezione scolastica ha intonato un coro calcistico, che ha replicato dopo il richiamo dell’insegnante; nella stesso carcere, il 23 dicembre del 2013, assieme ad altri reclusi catanesi ha aggredito un detenuto palermitano; l’8 aprile del 2014 a Agrigento ha tenuto «atteggiamenti arroganti» con un operatore per una doccia; il 15 maggio del 2014, sempre nel carcere della città dei templi, Speziale «affacciandosi alle sbarre della finestra, e mantenendo alta la voce, intonava cori tipici delle tifoserie calcistiche rivolti contro polizia, carabinieri e lo Stato». Durante quest’ultimo episodio «altri detenuti – scrive il giudice – ai piani superiori, applaudendo, lo invitavano a continuare».
Secondo l’avvocato Lipera, che ha presentato ricorso in Cassazione, «la motivazione del Collegio è assolutamente incongrua, insufficiente e non idonea a giustificare l’applicazione di un così severo regime». Secondo il penalista le motivazioni dei giudici si «limitano in maniera sterile e scevra da qualsiasi riflessione, a riportarsi integralmente e letteralmente alle argomentazioni del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ignorando di affrontare, come avrebbe dovuto, i motivi di reclamo».
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