La prima sezione della corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e per Guido Gianni si sono aperte le porte del carcere. L’orafo, 60 anni, dovrà scontare una condanna a 12 anni con l’accusa del duplice omicidio di due ladri e del tentativo di uccidere una terza persona che il 18 febbraio del 2008 fecero irruzione nella sua gioielleria, la Pierre Bonet di Nicolosi. Il verdetto è arrivato venerdì scorso e l’indomani Gianni si è presentato nella casa circondariale di piazza Lanza a Catania.
Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, processo in cui rimediò una condanna a 13 anni, l’uomo ai microfoni di MeridioNews aveva detto di non volere fare ricorso in appello. «Preferisco andare in carcere ma, per seguire la volontà della mia famiglia, faremo ricorso in secondo grado». Nel nuovo processo, l’esito però è stato sostanzialmente identico a quello di primo grado. Dietro la rapina, stando alla tesi dei difensori del commerciante, ci sarebbe stata una spedizione punitiva all’ombra del gruppo mafioso di Aci Catena. Quel pomeriggio a perdere la vita furono i rapinatori Davide Laudani e Sebastiano Catania. Il primo morì sul colpo mentre il secondo arrivò cadavere al Pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro di Catania. Rimase invece ferito Fabio Pappalardo, terzo componente del commando che rimediò una frattura a tibia e perone riuscendo a raggiungere i locali della guardia medica di Nicolosi grazie all’aiuto di un passante.
I colpi mortali, stando alla tesi dell’accusa e a una perizia balistica redatta nel processo di primo grado, vennero esplosi mentre i malviventi erano di spalle e stavano cercando di guadagnare l’uscita dalla gioielleria. Poco prima, Gianni aveva sparato dei colpi d’avvertimento in aria con la pistola, una Beretta calibro 9 regolarmente detenuta ma registrata a nome della moglie. Fu proprio la donna la prima a entrare in contatto con i tre, mentre l’uomo si trovava all’interno di un laboratorio attiguo all’area espositiva dell’attività commerciale. La donna raccontò di essere stata picchiata ritrovandosi puntata contro una pistola, poi rivelatasi a salve e senza il tappo rosso di riconoscimento. In quegli attimi concitati, l’orafo riuscì a uscire dal laboratorio grazie a uno dei malviventi che, a quanto pare, gli aprì la porta di servizio. Dopo una colluttazione Laudani, la cui famiglia è stata difesa dall’avvocato Domenico Guarnaccia, venne colpito al volto e al braccio mentre un terzo proiettile lo raggiunge alla schiena. Catania, invece, venne raggiunto da un proiettile al torace e nella parte bassa della schiena con due colpi.
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