Sparatoria S. Maria Ammalati, parlano i genitori dei bambini «Ci siamo nascosti in una stanza in attesa che finisse tutto»

«Mio figlio oggi parla poco, è molto provato e non so se continuerà a frequentare la chiesa di Santa Maria Ammalati. È stata la mia parrocchia da una vita e ci siamo trovati benissimo ma, almeno per il momento, non possiamo che associarla a questo triste avvenimento». Non sono passate nemmeno 48 ore dalla sparatoria di Santa Maria Ammalati, frazione di Acireale, in cui domenica sera è rimasto gravemente ferito il carabiniere Sebastiano Giovanni Grasso. Adesso, a MeridioNews, sono alcuni familiari dei bambini che hanno ricevuto la comunione a raccontare i momenti che sono seguiti allo sparo dei colpi di pistola da parte del 60enne C.L, attualmente in carcere. Un proiettile ha raggiunto il militare, che in quel momento era fuori servizio. Grasso, insieme alle altre famiglie, stava assistendo alla prima comunione del proprio figlio quando, nel tentativo di sedare la lite che si era spostata all’esterno della chiesa tra i familiari di due genitori separati, ha avuto la peggio riportando una ferita al collo. A causa della quale ha dovuto subire una delicata operazione. E mentre le condizioni dell’uomo sono stazionarie, tenute sempre sotto controllo dai medici dell’ospedale Cannizzaro di Catania, i genitori e i parenti di bambini e bambine che si apprestavano a ricevere il sacramento sono ancora increduli per quanto successo. C’è chi ha tentato di sdrammatizzare l’accaduto e chi, pian piano, cercherà di raccontare la verità al proprio figlio. 

«Già prima della messa si respirava un’aria di tensione. C’era stato già un litigio, non so se tra la coppia o tra i familiari, forse per i posti a sedere – spiega una mamma – Qualcuno aveva già pensato di chiamare i carabinieri prima che iniziasse la messa. Durante la cerimonia tutto sembrava procedere per il meglio, quando, subito dopo la comunione, abbiamo sentito un botto. Poi è entrata una signora spaventata, che ha cominciato a urlare dicendo che forse avevano ucciso qualcuno». Un momento di paura e confusione. «La gente ha cominciato a scappare, mentre i bambini sull’altare si sono impauriti e cercavano con lo sguardo i genitori – continua la donna – Siamo corsi a prendere i nostri figli e ci siamo chiusi con loro in una stanza della sagrestia. Eravamo circa 30 persone e abbiamo cercato di tranquillizzare tutti. Mio figlio non parlava, mia figlia piccola piangeva. Nonostante questo abbiamo cercato di mantenere la calma e siamo usciti solo quando le cose si sono un po’ calmate. Alcuni bambini non si sono accorti che si trattava di uno sparo, mentre noi genitori eravamo sempre più preoccupati perché inizialmente non si sapeva quante persone erano rimaste coinvolte». 

Man mano che scorrevano i minuti, mentre i genitori cercavano di tranquillizzare i figli, giungevano le notizie. «Abbiamo deciso di andare ugualmente al locale – prosegue la mamma – Eravamo già in pochi, ma non volevamo rovinare ulteriormente questa giornata ai bambini. Abbiamo saputo che a essere ferito era il padre di un amico di mio figlio, così lui stesso ha voluto il cellulare per tenersi aggiornato. Arrivati al locale, ci sentivamo come se fossimo scappati da qualcosa, anche se abbiamo cercato di accantonare tutto per un momento. Adesso proviamo a riprenderci: devo ancora tornare a casa ma, se mio figlio mi chiederà, cercherò di dirgli la verità su ciò che è successo, rasserenandolo sul fatto che il papà del suo amico si riprenderà, come ci auguriamo tutti». 

E se da un lato c’è chi preferisce dire la verità ai figlio su ciò che è accaduto, dall’altro ci sono genitori non ancora pronti a dire ai figli che un uomo ha sparato. «Ricordo ancora lo sguardo attonito dei bambini. Dopo lo sparo ci siamo nascosti sotto i banchi, poi siamo corsi sull’altare a prenderli – dice la mamma di un altro bambino – Quando siamo corsi a ripararci nei locali della chiesa, in attesa che tutto si calmasse, insieme a mio marito abbiamo detto che quel botto e quella preoccupazione erano dovuti a un incidente d’auto, così hanno cambiato subito espressione e si sono tranquillizzati. Poi siamo andati al ristorante perché era giusto fare allentare la tensione, ma siamo ancora scossi: cerchiamo di sostenere i nostri figli, ma tutto non può che rimanere impresso». A distanza di poche ore il ricordo è ancora vivo, talmente tanto che la donna sta valutando di far cambiare parrocchia al proprio figlio. «Ci troviamo molto bene con l’attuale parroco, ma per il momento siamo traumatizzati tanto da non riuscire più a entrare dentro quella chiesa». 

Mentre arrivano messaggi di solidarietà e sostegno al carabiniere ferito da parte delle istituzioni, dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese fino alla prefetta Carmela Librizzi, il parroco della chiesa di Santa Maria Ammalati, don Claudio Catalano, invita a non perdersi d’animo. «La comunità è molto scossa e capisco che molti bambini non se la sentono di entrare in chiesa – afferma a MeridioNews – Dal canto nostro, dobbiamo farci coraggio: in momenti come questo bisogna non perdere la speranza e, una volta di più, cercare di evitare malintesi e rancori, non mettendo il nostro io davanti a tutto, ma pensando al bene dei nostri figli e dei nostri cari». Per il momento don Claudio non ha avuto modo di confrontarsi con i bambini. «Dobbiamo cercare di non far pesare ulteriormente la situazione anche ai familiari dell’uomo ferito – conclude Catalano – Siamo tutti sconvolti, ma ho detto alla famiglie di stare serene e che più avanti ci vedremo per la consegna delle pergamene e del pane azzimo, momenti importanti che non siamo riusciti a portare avanti durante la funzione».

Carmelo Lombardo

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