Spaccaossa, l’ex poliziotto che informava la mafia «A te minchiate nella mia vita non ne ho dette mai»

Sempre un passo in avanti. Stefano Marino, appartenente alla famiglia mafiosa di Roccella, in tanti anni di criminalità organizzata ha saputo prevenire più volte indagini e arresti nei suoi confronti. Grazie soprattutto a un ex poliziotto, Vincenzo Di Blasi, regolarmente ricompensato con notevoli somme di denaro. La sua gola profonda, però, non è riuscita a evitargli il nuovo arresto, eseguito ieri dagli agenti della squadra mobile di Palermo nell’ambito delle indagini che hanno accertato gli appetiti di Cosa nostra sul lucroso affare degli spaccaossa, ovvero la sistematica frode alle compagnie assicurative che ha visto centinaia di persone in difficoltà sottoporsi a dolorosissime fratture agli arti e a inscenare finti incidenti stradali pur di racimolare poche centinaia di euro.

Marino è tra coloro che fiutano il business, quantificato dal dirigente della squadra mobile Rodolfo Ruperti in «centinaia e centinaia di migliaia di euro». E subito si adopera per entrarci dentro. Dopo le massicce operazioni di polizia con le quali sono state sgominate due bande criminali, ad agosto 2018 e ad aprile 2019, serve però la massima riservatezza. Chi può svolgere al meglio questo compito se non un ex agente di polizia, che conosce le modalità di indagine e ha contatti diretti all’interno? Tra Di Blasi e Marino, d’altra parte, i rapporti sono ferrei e duraturi. Nel 2009 Marino riesce a sfuggire a un provvedimento restrittivo disposto dalla Procura nell’ambito dell’operazione Old Bridge. Tra i suoi informatori già allora c’è appunto Di Blasi, allora in servizio alla polizia di stato, che viene arrestato dai colleghi della giudiziaria nell’ottobre di quell’anno per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Un’accusa che gli vale sei anni di carcere e, da luglio 2015, altri quattro anni di sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.

Misure che però non ledono i legami con Marino e la famiglia mafiosa dei Roccella. Gli inquirenti accertano «numerosi incontri tra i due», nei quali l’ex poliziotto continua a girare al noto pregiudicato altri dettagli preziosi sulle nuove indagini che lo riguardano. Si tratta di informazioni di prima mano «che lo stesso Di Blasi assume da ambienti vicini alle strutture investigative». L’ex poliziotto infatti «raccontava di un appartenente alle forze dell’ordine che, nutrendo rancore per essere stato trasferito dalla propria sezione, potrebbe rivelare importantissime informazioni sulle indagini e, in particolare, notizie aggiornate sull’esatta ubicazione di telecamere installate dalla polizia giudiziaria, utenze intercettate e nominativi di personaggi attenzionati dalle forze dell’ordine».

È l’11 settembre 2018 quando Di Blasi informa Marino che a breve dovrà incontrare un appartenente ai servizi d’informazione di sicurezza. «Prima che io mi seggo con lui, prima dobbiamo parlare con te» è la rassicurazione fornita dall’ex agente. Passano tre giorni e il supporto di Di Blasi si fa più concreto: l’uomo fornisce a Marino «modello e targa di due autovetture noleggiate ed utilizzate dalle forze di polizia per lo svolgimento di attività riservate di polizia giudiziaria», oltre che alcune dritte su possibili appostamenti. E quando Marino teme che qualcuno, all’interno della squadra mobile, possa venire a conoscenza di questi movimenti è Di Blasi a rassicurarlo. «Solo tutti e due ci possiamo tradire» dice ridendo, per poi aggiungere che «la squadra mobile in bocca ai leoni è». 

A un certo punto della discussione subentra il pesce spada, soprannome che i due uomini danno a un altro informatore interno che Di Blasi afferma di conoscere. Il pesce spada, però, non è immediatamente disponibile perché «impegnato negli imponenti servizi di ordine pubblico predisposti in occasione della visita del Papa a Palermo», avvenuta il 15 settembre 2018. L’ex poliziotto, poi, vanterebbe contatti anche tra i carabinieri: soprattutto tale Stefano, ex militare dell’arma in pensione. E fornisce indicazioni sull’installazione di telecamere presso la scuola materna Mattarella, nel cuore dello Sperone, a pochi metri dalle piazze di spaccio gestite dalla famiglia mafiosa di Roccella e dai fratelli Marino. Per questi motivi Di Blasi, il 21 settembre, lamenta di non essere stato ricompensato per i propri servizi. E racconta a Marino delle «fatiche che doveva sopportare per svolgere in modo sicuro ed efficace il suo “lavoro” a beneficio del suo interlocutore; rappresentava l’utilizzo di un motociclo malmesso con cui andava in giro anche sotto la pioggia; aggiungeva, infine, che ogni sera transitava sempre per un determinato posto per vedere se qualcuno avesse lasciato un segnale». 

L’ex agente è quasi offeso nei confronti di Marino, perché «io a te minchiate nella mia vita non te ne ho dette mai». Le talpe di Di Blasi, l’ex carabiniere in pensione Stefano e pesce spada, intanto continuano a fare il doppio gioco. Lavorando per lo Stato e per la mafia allo stesso tempo. Stefano d’altra parte pare che sia dipendente dal gioco d’azzardo. L’ex poliziotto racconta che è per questo che vende le informazioni. «Il gioco tintu è – commenta l’uomo d’onore – Mio cognato per il gioco si è mangiato un impero». Intanto la rete di spie intessuta da Di Blasi mostra la sua efficacia durante l’operazione Tabula Rasa, condotta dai carabinieri il 10 ottobre 2018: Marino ne viene a conoscenza qualche giorno prima e riesce a organizzare un piano di fuga. Fino all’arresto di ieri da parte della polizia, a distanza di poco più di un anno dal tentativo eseguito dai militari dell’arma. In mezzo altri soldi e altro dolore grazie agli spaccaossa e alle informazioni di ex appartenenti alle forze dell’ordine. 

Andrea Turco

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