Sogni infranti

Anche quest’anno si è assistito all’ennesimo ripetersi del drammatico copione. Estate 2006: stesse spiagge, quelle di Lampedusa, stesso mare, il Mediterraneo. No, non è affatto un allegro motivetto quello che ripetono in coro i telegiornali italiani, ma il puntuale riverificarsi dello stesso tragico fenomeno. Gli sbarchi clandestini si sono susseguiti numerosi e con cadenza giornaliera per tutta la stagione estiva. Purtroppo, ci sono stati anche casi in cui l’approdo non è avvenuto perché, per circostanze facili da immaginare, il malandato barcone di turno, stracolmo di poveri disperati, ha ceduto proprio alla fine del “viaggio della speranza” e si è inabissato, cancellando per sempre decine, centinaia di vite umane. Raramente il mare restituirà i loro corpi e, nella maggior parte dei casi, molte famiglie, nelle rispettive patrie, si chiederanno che fine hanno fatto i propri cari e, poi, col passare dei mesi, si rassegneranno a non rivederli mai più. Sono storie di morte raccapriccianti e strazianti.

L’obiettivo spietato dei cameramen televisivi troppo spesso indugia sui volti di chi invece giunge salvo a Lampedusa o a Pozzallo e toglie loro anche l’ultimo grammo di dignità umana che gli è rimasto. Gli immigrati camminano a testa bassa, incerti e privi di forze, affamati e disidratati, umiliati, confusi, disperati e i loro occhi narrano silenziosamente il loro lungo viaggio, iniziato mesi prima in qualche paese africano o asiatico. I loro sguardi ci parlano delle loro illusioni, delle sofferenze e delle mortificazioni che hanno subito o a cui hanno assistito.

Gli immigrati sono soprattutto giovani uomini e donne, a volte incinte o con figli, che, raccolti i risparmi familiari di una vita, vendono i propri destini a scafisti senza scrupoli. Quindi, iniziano un lungo viaggio, anche attraverso il Sahara, su mezzi di trasporto precari e sovraccarichi di “merce umana”. Se riescono a superare la prima tappa del tragitto, giungono nelle città costiere, nel nostro caso quelle libiche, e lì attendono per settimane di ripartire, accalcati in casupole fatiscenti e in totale mancanza di condizioni igieniche. Gli scafisti, allora, tolgono loro gli ultimi soldi rimasti e li sistemano in vecchi barconi, accomodati il più delle volte dagli stessi immigranti. Non appena le condizioni climatiche e marittime lo consentono, prendono il mare. Una volta partiti alla volta delle coste italiane, con destinazione Lampedusa, gli scafi delle “carrette del mare” spesso imbarcano acqua che essi stessi provvedono a gettare fuori dalla barca. Visto il sovraccarico di questi barconi, a volte basta una forte ondata o uno scoglio per porre fine tragicamente alla traversata del Mediterraneo. Invece, chi giunge salvo sull’isola, viene soccorso dalla Guardia Costiera e stipato nel centro d’accoglienza di Lampedusa, ormai da tempo al collasso, in attesa di venire smistato e trasferito in altre strutture italiane o di essere rimpatriato nel proprio paese d’origine.

E’ chiaro che gli immigrati clandestini sono per lo più delle vittime. Soprattutto sono vittime della loro ignoranza e ingenuità; infatti, cercando un futuro migliore in un qualsiasi stato europeo, consegnano a criminali spregiudicati tutti i loro risparmi, che gli consentirebbero una vita dignitosa nel proprio paese. Una volta giunti nella città di destinazione, sappiamo bene che pochissimi di loro riescono a sopravvivere in condizioni dignitose. Per la maggior parte, una volta ancora, vengono sfruttati come manodopera in nero e sottopagata e vivono in case abbandonate o occupate abusivamente. In quei pochi casi in cui possono ritornare in patria per rivedere i propri cari, spesso mentono loro, dicendo che grazie al loro viaggio, hanno trovato la fortuna e la ricchezza che cercavano e, se da un lato questo comportamento può essere giustificato, dall’altro non fa che illudere altri aspiranti immigranti.

Questa, a grandi linee, è la situazione. Mentre le forze dell’ordine e tutti coloro che operano nella Protezione Civile e nel settore sociale e del volontariato, hanno ben pochi mezzi e uomini per fronteggiare quella che ormai non può più definirsi solo un’emergenza. Il flusso migratorio aumenta quotidianamente. I governi dei paesi interessati come pensano di risolvere questo grave problema? Con la diplomazia.
Negli ultimi mesi qualcosa si muove concretamente, ma a quanto pare solo univocamente da parte dell’Italia. Di pochi giorni fa è la notizia che il governo italiano invierà delle forze di Polizia in Libia per collaborare con le autorità locali nella prevenzione e nel controllo dei traffici migratori. Questa iniziativa darà i risultati sperati?
Di fatto manca la divulgazione della verità. Se gli stati africani o asiatici, in collaborazione con l’Unione Europea, organizzassero delle campagne di comunicazione, mirate alle zone più depresse, per dissuadere chiunque dalla decisione di emigrare, probabilmente le percentuali degli sbarchi diminuirebbero drasticamente. Inoltre, si auspicherebbe una proficua collaborazione tra Africa o Asia ed Europa per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni più indigenti, creando in loco delle strutture lavorative in grado di offrire maggiore occupazione e, di conseguenza, ricchezza e prospettive di vita più decorose. Ovviamente, questa soluzione è stata già suggerita da parecchi anni dalle maggiori associazioni umanitarie internazionali, senza peraltro ottenere una pronta attuazione. Non è mai troppo tardi per passare dalle parole ai fatti.

Francesca Terranova

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