‘Sofferenze’ bancarie: l’Italia maglia nera subito dopo la Grecia. I dati di tutti i Paesi europei

IL TEMA E’ STATO AFFRONTATO IERI DURANTE IL CONGRESSO NAZIONALE DELLA FABI. SILEONI: “PER RIEMERGERE DALLA CRISI IL SISTEMA DEVE RINNOVARSI. ECCO LE NOSTRE PROPOSTE PER UN NUOVO MODELLO DI BANCA”

Banche italiane ai primi posti nella classifica europea per sofferenze. Nel primo semestre 2013, i prestiti non restituiti ammontavano a oltre l’11% del totale dei crediti concessi.

Ciò significa che, nei primi sei mesi dello scorso anno, nel nostro Paese, più di un prestito su 10 non è stato saldato alla sua scadenza, oppure il pagamento di alcune rate è stato pesantemente ritardato. Una vera e propria escalation, quella delle sofferenze bancarie italiane, che dal 2010 al 2013 sono aumentate di tre punti percentuali, passando dal rappresentare l’8,37% del totale dei prestiti nel 2010 e l’11,68% nella prima metà del 2013.

I dati sono emersi dallo studio “Italia- Europa. Un nuovo modello di banca per il rilancio del settore. Analisi e proposte”, a cura dell’Ufficio studi internazionali della FABI, sindacato di maggioranza dei lavoratori bancari, presentato ieri a Roma nel corso del XX Congresso nazionale della FABI.

L’indagine, incentrata sulla rielaborazione di dati della Bce, analizza i modelli distributivi dei principali sistemi bancari europei con un approfondimento, in particolare, sulle sofferenze accumulate negli anni cruciali della crisi (2010-2013) dai settori bancari di Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, Regno Unito, Germania, Francia, Belgio, Austria, Olanda, Danimarca e Svezia.

Impietoso il confronto con gli altri Paesi europei. A fare peggio delle banche italiane solo gli istituti di crediti greci, dove le sofferenze hanno toccato quota 21,86% nel primo semestre del 2013.

Subito dopo le banche italiane, si collocano le portoghesi, con il 7,57% di prestiti non restituiti, le spagnole (6,69%), le belghe (4,98%), le austriache (4,60%), le francesi (4,52%), le danesi (3,98%), le olandesi (2,55%), le tedesche (1,86%), le inglesi (1,86%) e, infine, le svedesi (0,78%).

A determinare una così forte incidenza delle sofferenze sui bilanci bancari italiani diversi fattori. Tra questi: una cattiva gestione del credito da parte dei piani alti delle banche (Direzioni generali e Cda,), che hanno concesso prestiti a grandi gruppi industriali amici, talvolta secondo criteri più clientelari che di merito; la crisi economica; le regole fiscali in materia di deduzione delle perdite, spesso penalizzanti per gli istituti di credito; l’eccessiva lunghezza delle procedure fallimentari e, infine, gli scarsi interventi di sostegno statale ai gruppi bancari in difficoltà.

I dati emersi dallo studio sfatano, infatti, il pregiudizio che vedrebbe l’Italia tra i Paesi più propensi a “regalare” risorse pubbliche alle banche. Dal 2007 al 2010 lo Stato italiano ha iniettato a fondo perduto nel settore bancario “solo” 4,1 miliardi di euro (al netto dei Monti e dei Tremonti bond), contro i 114,5 del Regno Unito; i 47,9 della Svizzera; i 46,9 della Germania; i 31,5 dell’Irlanda; i 30 dell’Olanda; i 25,3 della Francia; i 23,5 della Spagna; i 20,94 del Belgio; i 20,3 della Grecia; gli 8,85 dell’Austria; i 7,6 della Danimarca.

“Questi dati dimostrano che le strategie fin qui attuate dalle banche italiane e incentrate soltanto su un taglio lineare del costo del lavoro e degli sportelli e sull’outsourcing di attività non hanno portato a un rilancio del settore”, ha detto Lando Maria Sileoni, Segretario generale della FABI.

“Per questo, come sindacato, vogliamo impostare il confronto sul rinnovo del contratto di categoria proponendo un nuovo modello di banca, che generi profitti, creando occupazione e posti di lavoro e che rafforzi i suoi legami con le imprese del territorio”.

“È necessario – ha quindi proposto Sileoni – che le banche abbandonino le vecchie politiche e che, invece, amplino la gamma di servizi, puntando, oltre che sulla tradizionale attività creditizia, anche sull’offerta di consulenze in materia assicurativa, pensionistica e fiscale e sulla vendita di carte di credito e polizze d’assicurazione, ‘rubando’ quote di mercato a Banco Posta e Poste Vita. Sarebbe, inoltre, auspicabile: un potenziamento delle attività di consulenze specializzata, anche in materia di commercio internazionale, ad oggi appannaggio di grandi studi che offrono servizi a costi molto elevati, un rafforzamento delle attività di credito specialistico, come quello industriale, marittimo, agrario e turistico, e di gestione delle incentivazioni pubbliche, soprattutto europee”.

“Infine un’importante area di business potrebbe essere rappresentata dalla gestione dei portafogli di crediti deteriorati, secondo modalità meno burocratiche e più propositive, e nella quale allocare personale ad elevata specializzazione”, ha concluso Sileoni.

Redazione

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