SILLABARIO POLITICO/ La lunga notte del capitalismo

di Lorenzo Ambrosetti

La crisi del capitalismo è diventata, a livello internazionale, uno dei fattori decisivi che inducono sempre di più gli Stati a farsi finanziare dagli investitori che posseggono capitale ed a svalutare il lavoro come forma primaria dell’agire sociale.

Max Veber, nell’ “Etica protestante e lo spirito del capitalismo”, segnalava come il momento calvinista, come schema legato ad una mentalità ed a una condotta di vita, fosse il fattore motrice che avesse spinto il capitalismo ad espandersi in ogni Stato. Piuttosto che il calcolo economico, secondo Weber, è proprio una sorta di ascesi ultramondana, che opera con energia contro ogni forma di godimento, lusso o spreco per essere volta, tramite il lavoro, all’accumulazione della ricchezza.

Weber (nella foto a sinistra, tratta daen.wikipedia.org) parla di un comportamento razionalistico volto ad ottenere profitto tramite l’abile sfruttamento delle congiunture di mercato. Allontanandosi dalle tesi marxisiste, Weber ritiene che non esiste in realtà uno sfruttamento della forza lavoro, ma solo un razionale scambio economico tra due soggetti in posizioni socialmente differenti.

Una cosa comunque è certa: Weber metteva al centro del processo produttivo l’uomo, inteso come elemento propulsore di ogni forma di lotta e competizione per l’accumulazione della ricchezza. L’uomo e il suo lavoro, quello che oggi, ed è sotto gli occhi di tutti viene sicuramente svalutato.

Con il crollo del muro di Berlino e la fine del comunismo reale, è crollata l’ultima utopia di matrice cristiana che l’Europa ha conosciuto. Pur con le sue infinite contraddizioni il comunismo garantiva un bilanciamento, sia a livello spirituale che etico, meno a livello politico, con il capitalismo sfrenato di matrice statunitense.

Habermas ha osservato come il capitalismo sia in crisi fondamentalmente perché è venuto meno il ruolo determinante dello Stato nella soluzione pacifica dei conflitti sociali.

Intanto si realizza una diffusa spoliticizzazione sotto il segno della democrazia di massa. L’unica base di legittimazione del sistema rimane il risarcimento a classi o gruppi, in cambio della passività nei processi di formazione della volontà politica.

La crisi del capitalismo non è politica; è morale ed etica. Occorre tornare alle basi da cui era partito Weber e mettere l’uomo al centro dell’universo politico e dell’agire economico.

La Chiesa cattolica svolge in questo momento storico un importante compito politico e tutti i cattolici devono essere chiamati a raccolta per raccogliere il monito da essa lanciato. Una rifondazione del capitalismo passa attraverso una rivalutazione dell’uomo, del suo lavoro e dei compiti fondamentali dello Stato, che, da mediatore dei conflitti sociali e spesso spettatore passivo delle lotte dei lavoratori, deve diventare soggetto attivo e polo di attrazione per la rifondazione di un nuovo Welfare.

Redazione

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