Da punto fondamentale per il monitoraggio dei sommergibili a porta d’accesso agli scenari di guerra nel Nord Africa. In mezzo, il controllo del Mediterraneo e il bisogno di inviare incessantemente informazioni e trasmetterne. La base militare di Sigonella, nel territorio siracusano di Lentini ma a pochi chilometri da Catania, irrompe nel dibattito politico. La struttura ospiterà i droni statunitensi – Predator e Reaper – diretti in missioni contro l’Isis. Un’intesa difficile quella ottenuta da Barack Obama e che ha visto il premier Matteo Renzi estremamente cauto, stando a un articolo diffuso dal Wall street journal.
L’importanza della base etnea nella gestione dei conflitti mondiali emerge anche da una relazione realizzata dall’analista Francesco Tosato del Centro studi internazionale nel maggio 2013 e diretta al Parlamento. La struttura, nata alla fine degli anni ’50, diventa in breve «il più importante polo logistico per le attività di supporto alla sesta flotta della marina militare americana schierata nel Mediterraneo – si legge nel documento – ospitando depositi, un aeroporto, un ospedale e un numeroso contingente componenti del genio costruttori della marina americana». Con la fine della Guerra fredda, la base svolge il ruolo di sostegno alle attività Usa nel Medio oriente, soprattutto in occasione del primo intervento militare in Iraq nel 1990.
È con l’avvento del nuovo millennio che lo scenario cambia: irrompono gli aerei a pilotaggio remoto. A ridosso della Primavera araba, con la caduta del regime di Gheddafi in Libia e il conseguente intervento militare, gli Stati Uniti e il governo italiano di Silvio Berlusconi stringono un accordo che permette lo schieramento in Sicilia di sei droni armati. «I limiti del 2012 prevedevano delle missioni valutate caso per caso», ha spiegato Francesco Tosato a MeridioNews. E dalle informazioni che filtrano nelle ultime ore, la nuova intesa «rispecchia in gran parte quella precedente», dice l’analista.
La presenza statunitense in Sicilia è codificata da una serie di accordi con la Nato e tra Usa e Italia. Il più importante è il Technical agreement. A esclusiva gestione americana ci sono due aree all’interno dei confini della base di Sigonella, la stazione di telecomunicazione di Niscemi, il poligono di Pachino. A uso congiunto con i paesi del patto atlantico ci sono l’area Nato di Sigonella, un magazzino e un deposito munizioni. Su tutto esercita la sovranità nazionale il comandante del 41esimo stormo. Un fatto che rischiava di esplodere con la crisi di Sigonella, un caso diplomatico scoppiato nel 1985. E, più recentemente, emerso in occasione del sequestro del cantiere del Muos, affidato dalla procura all’ufficiale italiano responsabile.
Secondo i dati contenuti nella relazioni, nel 2013 erano poco più di duemila i dipendenti Usa di stanza a Sigonella. A loro si aggiungevano 300 civili e circa 1200 familiari. A levarsi in volo, invece, sono i P-3 Orion «per lo svolgimento di compiti di pattugliamento marittimo». Ma ancora più importanti, assieme a Predator e Reaper, ci sono i Global hawk. Aerei «da osservazione e sorveglianza», non armati, con un’apertura alare che sfiora i 40 metri, che operano «ad altissima quota e con lunga autonomia». Stando alla relazione del Cesi, nel 2013 erano 37 i Global hawk in possesso dell’aeronautica statunitense. Tre dei quali attivi nella piana di Catania. «Il grado di tecnologia contenuta nel velivolo lo pone ben al di sopra agli standard medi degli aerei attualmente in circolazione», si legge nel documento.
Da qui la forte spinta che ha portato alla creazione di un nuovo ente della Nato, del quale fa parte anche l’Italia assieme ad altri 15 Paesi, denominato Ags (Alliance ground surveillance), che avrà base proprio a Sigonella e partirà entro il 2017. Suoi compiti saranno la sicurezza in cooperazione con i componenti dell’alleanza, la gestione di crisi e la sicurezza collettiva. Per assolvere a questi compiti, è stato stabilito l’acquisto di cinque Global hawk. Adesso, con l’inasprirsi dell’offensiva all’Islamic state, la sola sorveglianza garantita dai Global hawk sembra non essere più sufficiente. Da qui il lavoro diplomatico, secondo la stampa statunitense durato circa un anno, portato avanti da Obama per ottenere un nuovo accordo. Un’intesa sulla quale pesa lo stop alla realizzazione del Muos, il sistema di comunicazione satellitare che avrebbe contribuito alla gestione del fronte bellico sul Mediterraneo.
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