Da Michelangelo Ingrassia, docente di Storia Contemporanea dell’Università di Palermo, riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo che ci ricorda dei tanti siciliani che hanno perso la vita nei lager nazisti.
Il Novecento è stato il secolo delle idee assassine, dominato da una inaudita e inedita volontà di potenza omicida. L’idea hitleriana di ridurre il mondo in un reich globale governato dalla razza ariana si è trasformato in un incubo per sei milioni di ebrei sterminati nel volgere di pochi anni.
Il ricordo collettivo di quella distruzione di massa, celebrato in Italia il 27 gennaio, è un rito civile che in Sicilia assume un valore storico particolare.
Quella dei lager, infatti, è una storia che riguarda da vicino il popolo siciliano perchè non furono pochi i siciliani finiti nelle mani dei volenterosi carnefici di Hitler. Si tratta di una verità sepolta sotto il cumulo di macerie lasciato dal ventesimo secolo e che la storiografia sta finalmente riportando faticosamente alla luce. Al tributo di sangue pagato dai siciliani nei campi di sterminio nazisti ha dedicato uno studio approfondito Lucia Vincenti con il volume Non mi vedrai più – Persecuzione, internamento e deportazione dei siciliani nei lager, 1938-1945.
Questo libro contiene un elenco di oltre seicento nomi di siciliani stritolati dagli ingranaggi della macchina dello sterminio: un dato da ritenersi ancora provvisorio; all’autrice si deve peraltro una interessante Storia degli ebrei a Palermo durante il fascismo. Alle meritorie ricerche di Lucia Vincenti va aggiunto il libro Deportati e internati. Racconti biografici di siciliani nei campi nazisti curato da Barbara Bechelloni (segnalo un’intensa e utile recensione di Amelia Crisantino comparsa su La Repubblica-Palermodel 29 gennaio 2010).
Non furono pochi, poi, i militari siciliani catturati e deportati dopo il fatidico 8 settembre 1943, in seguito alla firma italiana dell’armistizio con gli Alleati. La loro colpa non fu quella di essere ebrei ma di indossare la divisa dell’Esercito Italiano. Per essi fu decretato personalmente da Hitler lo status di “Internati Militari Italiani”; con questa qualifica, infatti, sfuggivano alla condizione di prigionieri di guerra salvaguardati dalla Convenzione di Ginevra. Gli I. M. I. furono posti di fronte a una scelta: continuare la guerra indossando la divisa tedesca o della Repubblica Sociale oppure restare nei lager come internati non prigionieri: mantennero la divisa dell’Esercito Italiano e condivisero il destino degli ebrei, dei zingari, degli omosessuali, degli antinazisti nei campi di sterminio.
Quella scelta drammatica e coraggiosa dimostra che una Resistenza al nazifascismo ci fu anche nei lager oltre che sulle montagne; la storia di questi soldati siciliani, e le testimonianze dei sopravvissuti sulla brutalità e la perversione quotidiana nei campi nazisti, sono state ricostruite da Michelangelo Ingrassia, Francesca Lo Nigro e Carmelo Botta in un volume per le scuole pubblicato dalla Provincia Regionale di Palermo nel 2012: Il male assoluto. La dura memoria della Shoah, corredato dalle interviste ai siciliani che riuscirono a tornare nell’Isola a guerra finita.
Quella che emerge da questi libri è una Sicilia sconosciuta, dimenticata, ignorata fino a poco tempo fa perfino dai siciliani. Così come sconosciuta, dimenticata e ignorata era rimasta la storia di Calogero Marrone: un siciliano di Favara che nel 1943, a Varese, da capo dell’Anagrafe di quella città, salvò la vita a centinaia di ebrei e partigiani falsificandone i documenti d’identità e per questo finì nel campo di sterminio di Dachau, dove morì nel 1944 a soli 56 anni lasciando moglie e figli; la sua storia è stata raccontata da Franco Giannantoni e Ibio Paolucci nel libro Un eroe dimenticato.
Questa bibliografia sulle vittime siciliane dei lager nazisti testimonia che anche i siciliani lottarono fino alla morte contro i totalitarismi del Novecento, replicando così le dure lotte dei padri contro le dominazioni straniere.
A noi resta oggi un patrimonio storico di sangue e dovere. Se vogliamo che la Storia non resti un racconto fine a se stesso ma diventi un valore che orienta nella vita e nell’azione individuale e collettiva di ogni giorno, dobbiamo chiederci quotidianamente – operando ciascuno nel proprio ruolo politico, culturale, sociale, economico – se siamo veramente degni di quel sangue siciliano versato nei lager nazisti.
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