‘Siamo disposti a dimetterci!’

La situazione è più grave di quanto sembrasse ed è un problema che ormai va avanti da oltre un anno. Durante la riunione del coordinamento, tenutasi ieri mattina nell’aula 3 del Palazzo Centrale a Piazza Università, è emerso che oggi a Catania la Facoltà di Lingue è l’unica che si sta mobilitando contro il “DDL per il riordino dello stato giuridico e del reclutamento dei professori universitari” della Moratti, mentre nel resto delle facoltà non è stata attivata alcuna forma di protesta.

 

Da notare inoltre il numero esiguo di persone che hanno partecipato a questa riunione, poco più di una ventina di docenti, tra ricercatori e ordinari, tra cui il Preside della Facoltà di Lingue, Antonio Pioletti. A cosa è dovuta questa scarsa partecipazione? Disinformazione o disinteresse? I sindacati, oltre Gabriele Centineo della Cgil presente anche lui all’incontro, che fine hanno fatto? E i rappresentanti degli studenti dov’erano? Sono stati avvisati di questa riunione o sono del tutto disinteressati a questa mobilitazione che ha colpito anche noi studenti? Polemiche a parte, le domande da porsi su questa precisa questione sono tante. Mentre in altre università d’Italia vi è una più alta partecipazione e coinvolgimento di diverse facoltà all’interno di uno stesso ateneo. «Nella nostra città vi è un elemento di resistenza che domina» ha precisato il preside Pioletti.

 

Questo testo ha vissuto una serie di revisioni incongruenti, riformulando parti significative quali: l’ingresso del precariato come forma stabile all’interno del mondo accademico; i contratti senza limite di insegnamento pluriennale e senza trattamento pensionistico; la confusione tra avanzamento di carriera e gratifica. In Italia per ogni docente precario vi è un docente inquadrato, ovvero la proporzione è di 50.000 ricercatori precari su 60.000 docenti di ruolo. Tra 5-6 anni questa proporzione diventerà squilibrata, in quanto i precari saranno 2 per ogni docente inquadrato. E’ stata sottolineata inoltre la mancanza di incentivi per l’assunzione e la stabilizzazione del corpo docente.

 

Gli effetti di questa legge sono esterni ed interni: i primi riguardano il crollo di questo sistema, poiché i ricercatori italiani non saranno in grado di confrontarsi con il resto del mondo: America, Inghilterra, Francia, Germania – per citare solo alcune delle nazioni in cui non esistono carenze così gravi come da noi -; e la polverizzazione dell’ università pubblica, cioè la fine di uno statuto giuridico dovuta ad una tendenza politica che ormai c’è da tempo. Gli effetti interni invece provocheranno una scarsa formazione degli studenti.

 

Al momento le idee e le proposte per continuare con questa protesta sono: informare e coinvolgere in modo efficace tutti, docenti e studenti, tramite lettere, e-mail, avvisi sui siti e nei forum; stipulare un documento entro il 30 giugno in cui si invitano le altre facoltà del nostro ateneo a partecipare e attivarsi in questa mobilitazione, a favore del ritiro del DDL, prima dell’assemblea d’ateneo organizzata dal Rettore Ferdinando Latteri per il mese di luglio. Se non si avranno riscontri generali positivi, dopo metà luglio si passerà a prese di posizioni e forme di protesta più forti, come sciopero della fame e lettere di dimissioni da parte dei docenti – qualora sarà necessario – proprio come è avvenuto in passato in Francia, dove il 70% del ritiro di docenti universitari e rettori ha prodotto un forte e clamoroso impatto in ambito universitario.

 

E se tutta questa attuale mobilitazione dovesse risultare vana? A fine settembre avverrà l’attuazione definitiva al Senato di questo disegno di legge.

Valeria Arlotta

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