Si può esprimere qualche dubbio sul ministro Kyenge a proposito dell’Italia “multiculturale”?

Giusto il rispetto per tutti. Anche per chi esprime, civilmente, qualche critica.

Pur avendo più volte manifestato la mia solidarietà al ministro Kyenge (nella foto sotto, a sinistra, tratta da lanazione.it)per le volgari aggressioni di cui è stata fatta segno e pur avendo espresso l’indignazione per comportamenti ed espressioni che travalicano la civiltà dei diritti e della convivenza sociale e che sono il segno caratteristico dell’Occidente, non ho remore a dichiarare che qualche perplessità sulla adeguatezza dello stesso ai compiti cui è preposta mi è balenata.

Ieri, dopo le ultime dichiarazioni, che spero siano solo frutto di una non chiara conoscenza dei termini, quel sospetto trova una brutta conferma. Leggo che il ministro dice di lavorare per un futuro dell’Italia come Paese “multiculturale”. Ne deduco che la base dell’integrazione sociale, che dovrebbe essere fra i temi forti dell’impegno del nostro esecutivo, verrebbe segnata dalle riproposizione e legittimazione identitarie delle barriere culturali.

Ciò che significa, e lo spiego a qualche pseudo progressista che fa dell’irresponsabilità il suo programma politico, che un Paese come il nostro, dove tutto sommato l’integrazione viene considerata in termini positivi, si trasformerebbe in una sorta di Babele nella quale il valore della convivenza nel rispetto dei livelli di civiltà che il nostro Paese bene o male ha acquisito, sarebbe sostituito dalla contrapposizione e dal conflitto.

La multiculturalità è, infatti, la tipica cultura del ghetto, della chiusura al dialogo, dell’affermazione prepotente dell’immobilismo identitario ciò che significa una non declinabilità degli elementi e delle espressioni che caratterizzano i vari sistemi culturali all’interno dei contesti ambientali vissuti.

Per esemplificare, la multiculturalità renderebbe legittimi comportamenti e tradizioni che la nostra civiltà giuridica, fondata sul principio dell’esaltazione dei diritti individuali, considera non solo illegittimi ma anche illeciti. Nessuno si potrebbe, dunque, meravigliare, in un contesto sociale multiculturale, che una cultura giustificasse, ad esempio, l’infibulazione o giustificasse la sottomissione della donna negandone i diritti fondamentali.

E’ gravissima, dunque, l’affermazione fatta che ha ben poco a che fare con lo sforzo “intercolturale” che una società moderna e civile, quale è la nostra, dovrebbe far proprio. Bisognerebbe ricordare all’improvvido ministro che solo “l’intercultura”, cioè lo sforzo di integrazione delle culture, che rappresenterebbero una opportuna implementazione della cultura fondante il nostro Paese, potrà garantire vero progresso civile e affermazioni dei diritti.

Pasquale Hamel

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