La polemica di queste settimane sulla chiusura delle sedi decentrate dell’Ateneo di Catania è fatta soprattutto di cifre. Debiti smentiti dai Consorzi, crediti rivendicati dal Rettore e costi della mobilità urlati dagli studenti di Ragusa, Modica e Siracusa. Ma qual è davvero la dote necessaria al mantenimento delle sedi decentrate, specie con gli adeguamenti imposti da decreto ministeriale 270 entro il 2011?
Lo spiega a Step1 il professore Giacomo Pignataro, economista e Presidente della Scuola Superiore di Catania.
Professore Pignataro, qual è lo stato attuale delle convenzioni con le sedi decentrate in base alla spesa?
Il ragionamento che stiamo facendo si basa sull’esigenza di riscrivere le convenzioni, perché sono state firmate anni fa e si basavano su un ordinamento didattico diverso, il 509. Riscrivendole, ci impegniamo per tanti anni, basti pensare che quelle vecchie erano valide per 15, 20, 25 anni. È evidente che, stipulandole oggi, non possiamo basarci solo su quello che stiamo spendendo adesso, ma sulla presumibile spesa media futura, che tenga conto dei diversi elementi, che riflettono anche le regole nazionali. Il decreto ministeriale 270 definisce qualcosa che è fondamentale per stabilire la spesa delle università, e cioè i requisiti necessari di docenza, che richiedono per la triennale 12 docenti di ruolo, 8 per la magistrale e 20 per il ‘ciclo unico’ di 5 anni. Noi oggi spendiamo mediamente circa 65 mila euro per docente, tenendo conto che ci sono un alcuni professori ordinari e poi una folta presenza di associati e ricercatori che, ad esempio a Ragusa, sono circa l’85%.
Quanto costerà l’adeguamento per gli stipendi?
Bisogna innanzitutto spiegare che ogni anno lo stipendio di un docente universitario cambia per disposizione del Governo, il quale stabilisce qual è l’aumento annuale: mediamente negli ultimi anni è stato di circa il 3%. Ogni due anni ciascun docente cambia, poi, classe stipendiata, con uno scatto di aumento della remunerazione. Noi oggi spendiamo circa 2.900.000 euro per la sede di Ragusa, ma facendo una proiezione di questi aumenti stipendiali da qui al 2013, arriveremmo nel giro di cinque anni a 3.500.000 euro circa. Considerando che l’85% dei docenti è potenzialmente soggetto ad un avanzamento di carriera, ma solo una parte di essi godrà di una promozione, nei prossimi cinque anni la spesa può aumentare fino a 4 milioni di euro, un aumento del 40-45%. Dobbiamo quindi tener conto oggi che nel tempo il Consorzio dovrà garantire risorse adeguate a questo piano, che rispondono ad un preciso dato finanziario.
Oltre agli stipendi dei docenti, quali altre risorse sono necessarie? C’è anche il problema delle strutture, con sedi decentrate prive di biblioteche e laboratori.
Il punto di partenza di un tavolo tra università e consorzi secondo me dovrebbe essere proprio questo: cosa deve rappresentare la presenza universitaria nel territorio? Non si possono solo prevedere lezioni e esami. È chiaro che l’Ateneo è orientato verso una presenza attiva, ma per fare questo servono strumenti e risorse per la ricerca. Sia per i docenti e soprattutto per gli studenti occorre quello che è fondamentale in ogni sede, e possiamo prendere ad esempio le risorse bibliografiche. E’ vero che oggi una parte di queste risorse è accessibile via Internet, ma una buona percentuale resta ancora legata al supporto cartaceo. Non possiamo dire agli studenti che non possono andare a Catania per seguire le lezioni, e poi mandarceli ugualmente per consultare i libri.
Spesa totale prevista, quindi?
Tutto questo ci ha portato a configurare una cifra di 3 milioni di euro per anno, per un ciclo di corso di laurea, inteso come 3+2 o ciclo unico. Bisogna fare attenzione però, perché noi chiediamo di mettere a disposizione risorse e di avere garanzie fino a questa cifra. Significa cioè che il Consorzio pagherà solo ciò che viene effettivamente speso, e sarà speso ciò su cui ci mettiamo d’accordo che debba essere speso secondo le regole che stabiliremo in convenzione. Abbiamo chiesto al Consorzio di Ragusa garanzie di natura bancaria ma siamo prontissimi a fare la nostra parte sull’adempimento degli obblighi, sui meccanismi di controllo degli aspetti contabili di rendicontazione, ma anche sui risultati della nostra attività, affinché si possa migliorare il nostro lavoro nelle varie sedi, sia decentrate che catanesi, sul doppio piano della didattica e della ricerca.
Ma come funzionano queste convenzioni? C’è l’esempio di Siracusa, in cui i docenti vengono pagati in parte da Catania e in parte dall’ente locale.
Nel caso di Siracusa la presenza più antica e forte è Architettura, un’intera facoltà, in cui circa un quarto dei docenti è pagato dall’Università di Catania, che quindi ha investito proprie risorse sulla sede decentrata. Ci sono poi i casi come ad esempio la facoltà di Lingue a Ragusa, nel quale l’ammontare della convenzione è risultato insufficiente a pagare tutte le spese, perché sono stati attivati quattro corsi di laurea, due triennali e due specialistiche, con 18 docenti di ruolo. Un numero non smisurato quindi, ma che già la convenzione non copre interamente. Tutti possono rendersi conto, inoltre, che con 18 docenti di ruolo non si possono reggere quattro corsi di laurea e bisognerebbe aggiungerne altri: o provenienti dalla sede catanese – e a loro bisogna pagare almeno la trasferta – o docenti di altri atenei, o docenti a contratto, professionisti presi all’esterno, che vanno naturalmente retribuiti. A questi vanno poi aggiunti, nel caso specifico di Lingue, i collaboratori e gli esperti linguistici. Già per pagare questi docenti oltre quelli di ruolo e gli esperti spendiamo più di 500.000 euro l’anno: soldi che vengono presi dalle risorse dell’Ateneo.
Il caso più controverso è però quello dei corsi doppione. Pensiamo ad esempio a Medicina o a Giurisprudenza a Ragusa. Qual è la situazione?
Medicina ha una storia a sé, nata dalla possibilità di essere presenti nelle aziende sanitarie, possibilità che poi non c’è stata. L’aspetto problematico è che, trattandosi di un corso a numero chiuso a livello nazionale e con un numero attribuito specificatamente alla sede di Ragusa, il trasferimento degli studenti andrà deciso di concerto col Ministero. Per quanto riguarda Giurisprudenza si apre invece il capitolo del decongestionamento. E’ vero che quello che teniamo a Ragusa è un corso identico a quello di Catania, però è chiaro che laddove ci sono corsi di laurea troppo affollati si può pensare di spostarsi sul territorio. Mi chiedo però se la tematica del decongestionamento, che è un problema nazionale e riguarda gli atenei di dimensione più grande, tra cui Catania, sia un tema che possa essere trattato solo attraverso una interlocuzione tra Ateneo e Consorzio o enti locali, o se non andrebbe piuttosto affrontato col Ministero. Sappiamo di esperienze di decentramento legate a problemi di decongestionamento in altre parti d’Italia, ad esempio in Emilia Romagna, in cui lo Stato ha fatto investimenti rilevanti.
Casi diversi sono quelli di Modica e di Caltanissetta, con l’idea del tutorato. Quanto costa questa soluzione?
Il tutorato è chiaramente uno strumento attraverso cui l’Ateneo interviene in una situazione particolare. In presenza di una decisione drammatica come quella di chiudere i due corsi di laurea a Modica, diventa un modo per tentare di attutire i costi che ci rendiamo conto saranno imposti alle famiglie degli studenti. Come si fa già in altri Paesi, nei corsi di tutorato non è necessario impiegare professori ordinari; ricordo gli anni del mio dottorato in Inghilterra, quando venivo impiegato con un minimo di remunerazione per i corsi di tutorato agli studenti. Le spese di questo strumento sono quindi certamente inferiori e sostenibili.
A proposito dei costi alle famiglie, gli studenti invocano il proprio diritto allo studio come motivo essenziale del mantenimento delle sedi decentrate. Quali altri strumenti si potrebbero attuare? Borse di studio, potenziamento degli alloggi?
Quello del diritto allo studio e dei costi della mobilità è un problema sicuramente serio, che però va affrontato con gli strumenti appropriati. Trasferire intere facoltà non è a mio avviso la risposta giusta; è come ricoverare in una clinica altamente specializzata una persona per un’unghia incarnita: si può fare anche in un ambulatorio. Allora, probabilmente, è ora che si sieda al tavolo anche un altro interlocutore, che è la Regione Siciliana.
Quale pensa che sarà il problema più grande per l’Ateneo di Catania: avere meno iscritti, e quindi meno tasse, o il sovraffollamento?
A mio avviso potrebbero esserci paradossalmente entrambi, a seconda delle facoltà. In generale l’apertura delle sedi decentrate, proprio per i costi della mobilità, ha stimolato una domanda che altrimenti non si sarebbe presentata all’università di Catania, ed è un fatto positivo per la società in generale. Abbiamo già detto del pericolo del sovraffollamento in facoltà come Giurisprudenza, ma in altri casi vedremo ridotto il numero degli studenti, e quindi certamente l’entità delle tasse. Sotto il profilo strettamente finanziario, il problema immediato è che, laddove si chiude definitivamente l’esperienza dei corsi di laurea, i docenti che sono stati assunti per soddisfare quell’offerta formativa dovranno essere pagati con le risorse che l’Ateneo riceve dal governo, cioè attraverso il Fondo di Finanziamento Ordinario, che prima veniva destinato ad altra
A proposito di docenti delle sedi decentrate: che ne sarà di loro? Come sarà possibile riassorbirli?
Tutti i docenti che si trovano nelle sedi decentrate sono stati assunti dall’Università di Catania e quindi la loro posizione non è assolutamente messa in discussione. E’ chiaro che si dovranno dare a queste figure altri compiti didattici, ma un modo bisogna trovarlo e lo si troverà. Teniamo anche conto del fatto che nei prossimi anni avremo consistenti flussi in uscita: entro quattro anni andranno in pensione circa il 15% dei nostri docenti. Il problema non è quindi così grave.
Oltre alle minori entrate finanziarie e al numero degli studenti, quali altre ricadute avrà la sede centrale di Catania?
Con i requisiti necessari per l’adeguamento alla 270 è probabile che alcune facoltà o addirittura l’intero Ateneo debbano utilizzare lo strumento del numero programmato. E’ però un problema che esiste indipendentemente dalle sedi decentrate, e a cui hanno già risposto anche alcune facoltà catanesi. Pensiamo ad esempio ad Economia, che non solo ha chiuso il suo corso di laurea a Modica, ma è anche passata da 5 corsi di primo livello e 5 di specialistica, a 3 per ciascuno.
Il Rettore, in conferenza stampa e nell’incontro con i delegati degli studenti delle sedi decentrate, ha più volte ribadito il rischio di dissesto per la stessa Università di Catania. E’ uno scenario eccessivamente apocalittico o c’è un serio pericolo?
La situazione non è preoccupante, nel senso che non esiste un problema specifico legato a Catania, ma c’è però una generale riduzione delle risorse che potrebbe avere ripercussioni serie su tutti i bilanci. Con la legge finanziaria del dicembre 2008 sono stati determinati anche i trasferimenti all’università per il prossimo triennio; se la finanziaria del 2009 non interverrà con una nuova norma, già sappiamo che quanto avremo nel 2010 è il 9% in meno del 2009, e nel 2011 sarà il 19% in meno. Nel 2010 quindi ci aspettiamo una riduzione di risorse pari a circa 18 milioni di euro su quanto riceviamo dal Governo, che adesso è circa 200 milioni: oggi, 170 li spendiamo per stipendi e i restanti 30 ci servono per far funzionare la macchina universitaria nel suo complesso. Se avremo 18 milioni in meno, di quei 30 ne resteranno a disposizione solo 12, più le tasse. Se addirittura nel 2011 dovremo affrontare un taglio di 37 milioni di euro, la cosa può diventare drammatica. Se consideriamo anche che sta per essere varato un decreto congiunto del Ministero dell’Università e dell’Economia che impone stretti limiti all’indebitamento delle università, veramente non avremo dove prendere i soldi ed è semplice deteriorare la finanza di un ente pubblico nel giro di mesi o di pochissimi anni. Se è vero che di buona amministrazione si può morire, essa è però necessaria per sopravvivere.
Personalmente, cosa si aspetta dalle decisioni sulle sedi centrate?
Io mi auguro davvero che le sedi decentrate non chiudano, non tanto per i problemi che possono esserci di rimando per la sede catanese, quanto perché il disegno di decentramento per come è stato concepito aveva un suo significato, quello di una Università che si apriva al territorio con più campus, ma qualificati. Si impone una razionalizzazione, non l’eliminazione. Per fare questo abbiamo bisogno di definire chiaramente gli obiettivi con i nostri partner. Non si tratta certo di sportelli bancari a cui l’Ateneo si rivolge per prelevare denaro… L’ho già detto e lo ribadisco: serve un’idea comune di cosa debba rappresentare l’università in quei territori.
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