«Sono stato votato da più di un milione e mezzo di siciliani e so che mi vogliono al mio posto. Sono centinaia i siciliani che vengono nel mio ufficio e che, dopo avere fatto un’attesa di tre o quattro ore, poi non hanno niente da dirmi. E quando chiedo perché hanno aspettato tutto questo tempo senza poi dovermi dire nulla, mi rispondono ‘Totò, vuoi mettere che io stasera arrivo a casa e posso dire ai miei figli che ho abbracciato e baciato Totò Cuffaro?’». Così risponde il Presidente della regione Sicilia alle richieste di dimissioni che gli arrivano da più parti, ed è proprio per contrastare queste convinzioni che è stata organizzata la manifestazione che si svolgerà venerdì 25 gennaio alle 21 davanti la libreria Tertulia, nei pressi di piazza Teatro Massimo a Catania.
L’incontro prevede la proiezione di filmati e gli interventi del giudice del Tribunale di Catania Felice Lima e del giornalista Alfio Sciacca sulla “responsabilità di essere siciliani” e sulla differenza tra la responsabilità politica e quella penale, riprendendo il concetto espresso dal giudice Paolo Borsellino secondo cui «altri organi, altri poteri cioè i politici, i consigli comunali e regionali dovrebbero trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze fra politici e mafiosi che non costituiscono reato ma che rendono il politico comunque inaffidabile. Quando c’è questo grosso sospetto si dovrebbe quantomeno indurre i partiti politici, non soltanto per essere onesti ma anche per apparire onesti, a fare pulizia al loro interno».
Nessuna associazione firma esplicitamente l’organizzazione dell’evento proprio perché si vuole dare voce alla società civile catanese in generale, per dire che essa non si sente rappresentata dal suo Presidente, né dal gruppo di persone che si ritrovano in chiesa a pregare per la sua assoluzione, per poi festeggiare con i cannoli la sentenza di condanna a cinque anni “solo” per favoreggiamento semplice.
Sembra essere questa la risposta di Catania all’appello lanciato al popolo siciliano dal Comitato Addio Pizzo di Palermo in una lettera pubblicata il 17 gennaio sulla sezione regionale di Repubblica, (che i catanesi però non hanno la possibilità di leggere, ma questa è un’altra questione) in cui si sottolinea che «in Sicilia, in terra di mafia, non si può non essere interessati dai reati compiuti dalla gente, al di là che questi siano accertati da sentenza definitiva» e che «chi governa questa terra ha il dovere di evitare qualunque contatto che potrebbe rivelarsi compromettente, altrimenti non è all’altezza del ruolo che vuole assumere».
«La responsabilità della situazione degenerativa in cui viviamo – si ricorda nel paragrafo conclusivo – non è solo della classe dirigente e dei politici, ma di tutta la società di cui anch’essi fanno parte. Un intero popolo che non cura la “qualità del consenso” e si disinteressa di selezionare con rigore chi è deputato ad amministrare, nell’interesse di tutti, la cosa pubblica, è un popolo che per bisogno, rinuncia alla propria dignità: quando questo principio sarà impresso nella testa e nel cuore di tutti i siciliani, riscoprendo l’amor proprio, ci saremo finalmente liberati del sistema clientelare-mafioso che attanaglia la nostra terra».
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