«Il web semantico ci ha permesso di respirare vera innovazione anche nelle aziende locali». Ad affermarlo è Giuseppe Ursino, fondatore e amministratore delegato dell’impresa catanese Pmf, da anni impegnata nello sfruttamento di prodotti e servizi legati alla tecnologia e all’innovazione. L’impresa di Ursino è la capofila della ricerca intitolata Semantic Sicily, che è riuscita a raccogliere in un piano di sviluppo di filiera 23 imprese isolane legate al settore dell’informatica. Ovvero impegnate nella produzione di software e in consulenze o attività a essa collegate. L’obiettivo – per il quale il progetto si avvale della collaborazione del Consiglio nazionale delle ricerche, dell’Università degli studi di Catania e del Parco scientifico tecnologico etneo – intende applicare la nuova tecnologia del web semantico ai prodotti realizzati dalle aziende. Alla base c’è l’idea di fare rete per resistere in un mondo dove l’innovazione può durare anche solo pochi giorni. «Non è stato semplice perché le piccole e medie imprese sono chiuse ciascuna nel proprio orticello per difendere un mercato locale per lo più molto debole», afferma Ursino.
Il web semantico è «qualcosa di molto macchinoso e complesso e – spiega – per questa ragione se ne occupano tendenzialmente grandi player, come ad esempio Google». Tuttavia per rendere il concetto di più facile comprensione anche coloro che non possiedono conoscenze informatiche approfondite, Ursino paragona il web 3.0 a un «glossario di tag, come quelli dei social network». E prosegue: «Il web semantico si comporta come un motore di ricerca che opera oltre che per parole, anche per significati. Utilizza raffinatissimi algoritmi per creare delle analogie che rendono il lavoro di indagine più semplice, più veloce e ovviamente più innovativo». La differenza con il web 2.0 è che quest’ultimo rappresenta un vasto mondo di informazioni non sempre ordinate, mentre l’oggetto della ricerca di Semantic Sicily dovrebbe dare una forma più organica e omogenea ai dati presenti su internet.
Il progetto per rendere più immediate le ricerche in Rete è stato portato avanti dagli ingegneri delle aziende siciliane – delle quali 14 catanesi, due ragusane, due modicane, due nissene, una ennese e una messinese, capitanate dalla Pmf – attraverso una piattaforma di cloud computing, che ha velocizzato lo scambio di informazioni e idee. Tutto ciò potrebbe far prefigurare uno sviluppo per la cosiddetta Etna valley, la denominazione attribuita alla zona industriale di Catania per assonanza di operato con la californiana Silicon valley. Ma Ursino non cede a questo tipo di fascino. E afferma: «Aziende informatiche non ce ne sono tante e penso che, se la intendiamo come la Silicon valley, non è mai esistita. Ha grandi difficoltà e molte cose non funzionano».
«Sappiamo che è fondamentale allargare lo spettro dazione del progetto perché il rischio è di morire, e non cè dubbio che tutto quello che va nella logica di aumentare la massa critica fa parte dei nostri obiettivi», sostiene Ursino. Che per il Piano sviluppo di filiera ha ottenuto un finanziamento complessivo tre milioni e 765mila euro dal piano Pon Fesr Sicilia e dalla Regione. «L’innovazione si può perseguire solo se ci sono i giusti investimenti, perché in caso contrario lo sforzo del ricercatore può presto finire in una bolla di sapone», conclude Ursino.
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