Secondo Zuccaro la Sea Watch non ha commesso reati «Ma c’è un problema di sicurezza per la navigazione»

«Dalle risultanze investigative non è emerso alcun rilievo penale nella condotta tenuta dai responsabili della Sea Watch 3». Firmato procuratore di Catania Carmelo Zuccaro. A 48 ore dallo sbarco della nave della ong al porto etneo, arriva la nota del magistrato più chiacchierato e citato degli ultimi giorni. Un’indagine è stata aperta, spiega il capo degli inquirenti catanesi, contro ignoti e ipotizzando i reati di associazione a delinquere finalizzata all’agevolazione dell’immigrazione clandestina e di agevolazione dell’immigrazione clandestina. Ma – almeno per quanto concerne la parte che doveva far luce su eventuali responsabilità penali dell’equipaggio della Sea Watch – l’indagine è già stata chiusa: il comandante e i suoi uomini hanno agito rispettando la legge. Fin qui i rilievi penali.

Nella coda del suo comunicato, però, Zuccaro pone un’altra questione, di tipo amministrativo, ma che potrebbe avere l’effetto temporaneo di non permettere all’imbarcazione di riprendere il mare e continuare nell’attività di soccorso. «Nel corso degli accertamenti – fa sapere la Procura di Catania – sono però emersi dati significativi in ordine all’inidoneità tecnico strutturale della motonave a effettuare un’attività sistematica di soccorso in mare dei migranti. Presso il registro nautico olandese la motonave in questione è registrata come natante da diporto e di esso presenta tutte le caratteristiche, con tutto ciò che ne consegue in termini di inidoneità ad ospitare – per una traversata in alto mare che presenta innegabili profili di rischio per le condizioni meteo marine che possono frequentemente verificarsi – un numero di passeggeri ben più elevato di quello per il cui trasporto è stata concepita». È uno dei motivi tecnici per cui ieri la Guardia costiera ha notificato alla Sea Watch 3 alcune non conformità relative alla sicurezza della navigazione. Che costringono al momento la nave a rimanere ferma a Catania. 

In Italia rientrano nella definizione «natante da diporto» i mezzi non superiori ai dieci metri di lunghezza. Questi non hanno obbligo d’iscrizione nei registri presso gli Uffici deputati dello Stato, né a quello del possesso della licenza di navigazione e del certificato di sicurezza. E, in base alla tipologia, hanno dei limiti di navigazione legati alla forza del mare e al numero di persone da imbarcare. 

Ieri la portavoce della ong, Giorgia Linardi, in merito a questo ha precisato che l’imbarcazione «è regolarmente registrata come nave da diporto nel registro reale olandese, ma il suo uso è quello di nave da soccorso. Per la lunghezza e la stazza della nave – aggiunge – questo non sarebbe possibile in Italia ma per la legislazione olandese, alla quale la nave fa riferimento, questo è assolutamente regolare ed è stato accertato recentemente dalle autorità ispettive dello stato di bandiera a Malta», dove la nave è rimasta bloccata quattro mesi. «La nave è olandese, non si applica la giurisdizione italiana e dunque invitiamo il governo a non fare deliberatamente confusione».

Oggi la Procura di Catania precisa che «le autorità olandesi, come risulta dal carteggio acquisito in atti, hanno acquisito consapevolezza in ordine alla necessità di introdurre nella loro legislazione dei requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti per le imbarcazioni da diporto nel caso di natanti che intendono svolgere in mare un’attività sistematica di soccorso dei migranti e hanno provveduto a modificare la loro normativa, che però non è ancora applicabile ai natanti già registrati». Quindi la Procura di Catania si lancia in un appello generale, «a tutti i Paesi che sono coinvolti a vario titolo nelle attività svolte in mare dalle Ong», affinché concentrino «particolare attenzione su tale problematica che presenta dei profili generali di sicurezza per la navigazione».

Tornando invece alle indagini sull’ipotesi di associazione a delinquere, poi rivelatasi non sussistente, Zuccaro ricostruisce quali sono stati gli obiettivi degli approfondimenti che hanno visti impegnati il Servizio Centrale Operativo della polizia di Stato, la squadra mobile della Questura di Catania, il nucleo di polizia economico-finanziaria alla sezione operativa navale della Guardia di Finanza: «Individuare da una parte i trafficanti libici che hanno organizzato la partenza dei migranti dalla costa libica, dall’altra gli scafisti che hanno condotto il gommone poi soccorso dalla Sea Watch 3 ed accertare infine la liceità della condotta tenuta dai responsabili di quest’ultima motonave». Sui primi due punti non si danno notizie «per esigenze di segreto investigativo». 

Il comportamento dell’equipaggio, invece, è stato analizzato in particolare sotto due aspetti: la scelta della motonave di non dirigersi verso le coste tunisine, «come fatto da alcuni pescherecci che in condizioni di mare critiche si erano rifugiati presso quelle coste», precisa la Procura; e dall’altro «le dichiarazioni rese dal comandante della motonave e dal coordinatore del team della motonave che si occupa della ricerca e dei recuperi in mare circa il non funzionamento del motore e la mancanza di una persona che fosse alla guida del gommone, dichiarazioni che apparivano contraddette da quelle rese da alcuni migranti che hanno invece asserito che il motore del gommone era funzionante al momento del soccorso e che il natante era guidato da uno di loro».

Gli investigatori hanno ricostruito che dal 19 gennaio al 21 gennaio Sea Wacth è rimasta in area Sar libica, rivolgendo richieste di ricevere un porto sicuro ai comandi generali della Guardia costiera di Libia, Malta e Italia. Con i libici le comunicazioni si sono interrotte perché questi ultimi non capivano l’inglese, mentre italiani e maltesi hanno risposto di non avere competenza su quel soccorso. Intorno a mezzogiorno del 21 gennaio (terzo giorno con a bordo i 47 migranti), Sea Wacth cambia direzione, andando verso Nord e dal giorno successivo verso Lampedusa, a seguito della convocazione da parte della Procura della Repubblica di Agrigento, poi revocata, in merito al naufragio del 18 gennaio, quando Sea Watch si era offerta di aiutare un altra imbarcazione in difficoltà (richiesta rifiutata), prima di andare a soccorrere i 47 che poi ha sbarcato a Catania. 

«La nave – scrive Zuccaro – rimaneva in quest’area fino alle ore 13 del 23 gennaio, perché successivamente l’imminente e previsto peggioramento delle condizioni meteomarine in zona induceva il comandante a procedere verso le coste orientali della Sicilia piuttosto che dirigersi verso le coste tunisine, benché più vicine in termini di distanza». È questo uno dei punti più criticati dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Perché Sea Watch si è avvicinata alla Sicilia orientale anziché ripararsi in Tunisia? A rispondere è lo stesso Zuccaro. «Tale decisione è apparsa giustificata agli investigatori perché la rotta tunisina avrebbe costretto la nave a muoversi in direzione della perturbazione meteo in arrivo». Inoltre si sottolinea come il comando della Guardia costiera olandese, contattato da colleghi italiani, abbia affermato di aver chiesto alle autorità tunisine di consentire l’approdo nei loro porti nei due giorni precedenti al peggioramento delle condizioni meteo, senza ricevere alcuna risposta. 

Infine, in merito alle condizioni del gommone su cui viaggiavano i 47 migranti soccorsi, tutti hanno testimoniato di aver sentito aria uscire dai tubolari. «Lo sgonfiamento avrebbe inesorabilmente portato all’affondamento del natante – scrive il procuratore di Catania -. In tale situazione – aggiunge – l’ulteriore approfondimento circa la necessità di un immediato intervento della Sea Watch appare del tutto superfluo: invero, la questione avrebbe rilevanza se la motonave si fosse affrettata a intervenire per anticipare l’intervento di una motovedetta delle autorità libiche, responsabili dell’Area Sar in cui stava operando, ma – come si è detto – per ben due giorni nessuna motovedetta libica è intervenuta in quella zona».

Salvo Catalano

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