«Se fossi maschio vorrei essere Calcutta» L’ex re dell’indie tra iphone e leggerezza

Un neo artista bohémien dallo stile trasandato, un poeta moderno, innovativo e folle al punto giusto. Lo descrivono così Edoardo D’Erme, in arte Calcutta, i tanti in coda al Castello a Mare di Palermo per l’unica tappa siciliana del tour estivo. Sono giovani, vestono colorati e vengono da tutta la Sicilia per vedere dal vivo il cantautore di Latina che, con il suo fare originale e stravagante, è diventato in poco tempo il re dell’indie italiano. «Ha rivoluzionato la musica attuale ricollegandosi alla grande tradizione di cantautori, come De André» spiega Marco, al concerto insieme a un’amica da San Cipirello. Ha 21 anni e un po’ si rivede nel suo stile: «Cappellino, barba lunga: mi ci rivedo. Non mi piacciono i personaggi che si curano, che vogliono farsi fighetti, mi piacciono quelli un po’ più tranquilli, vestiti senza troppi agghindi».

«Non è il solito belloccio che sculetta – commenta Giulia – è fuori dagli stereotipi di oggi: nel modo di scrivere, nel modo di cantare, soprattutto anche nel modo di porsi». «Se fossi maschio vorrei essere Calcutta» azzarda invece Miriam. I cancelli aprono alle 19 e via Filippo Patti è stracolma di ragazzi. La fila sembra infinita, ma il tempo passa piacevolmente: si ride, si scherza, si fanno nuove amicizie. C’è chi è venuto per dimenticare una delusione, chi è in coppia o con gli amici, per divertirsi e cantare a squarciagola, o ancora per deprimersi. «Nella mia vita sono un po’ presa a male, rispecchia il mio stato d’animo – spiega Roberta – siamo assieme perché lo abbiamo ascoltato insieme un sacco di tempo. In realtà non lo associo alla depressione quando sono con lei, ma sdraiata a letto in posizione fetale Calcutta è devastante»

Vengono da Acireale, Catania, Capo D’Orlando, San Cipirello, Agrigento. Sono giovani ma neanche troppo, parlano, mangiano, cantano per ingannare l’attesa. «Sarei venuta anche da più lontano per vederlo dal vivo – spiega Miriam – sono le canzoni che farei ascoltare ai miei figli. Mi trasmettono serenità, spensieratezza, non mi stancano mai: le ascolto sempre a ruota, prima di andare a lavoro». «È la terza volta che lo vedo dal vivo – racconta Francesco, di Acireale – sono andato a sentirlo per la prima volta nel 2016 ad un festival, nel messinese. E’ stato stranissimo perché non c’era tutta questa gente ed eravamo proprio lì davanti, Calcutta era totalmente strafatto, ad un certo punto un tizio gli urlò fai schifo e lui rispose dedicandogli una canzone».

Spontaneo, schietto, ironico. Semplice ma complesso allo stesso tempo, Edoardo D’Erme ha saputo conquistarsi il suo pubblico. Rolling Stone Italia mette Mainstream al terzo posto tra i migliori dischi del decennio. Se piovesse il tuo nome, la canzone che ha scritto per Elisa, si è guadagnata un disco di platino. Oroscopo è disco d’oro, Cosa mi manchi a fare, Frosinone e Gaetano registrano ormai milioni di visualizzazioni su Youtube e sui portali online di streaming. Ma c’è chi lo accusa di scrivere testi senza senso. «Non è una musica che tutti possono capire – spiega Valentina, di 31 anni – le canzoni sono molto orecchiabili ma sono scritte per un pubblico un po’ più attento, nei testi ci sono metafore che non tutti riescono a cogliere». 

Ad aprire la serata i ritmi elettro-alternative del polistrumentista italo-canadese Bruno Belissimo. Poi sul maxischermo un benvenuti glitterato e Calcutta che intona Briciole con il braccio destro ingessato. «Il dottore me lo aveva sconsigliato, ma io sono voluto venire lo stesso – spiega – grazie. Siete molto calorosi». Dalla platea, con più smartphone alzati che braccia, si canta a squarciagola. Il palco è allestito in perfetto stile-Calcutta: le quattro ragazze del coro formano con le magliette la scritta CORO e sullo schermo si susseguono immagini, all’apparenza poco sensate, tratte dal cellulare del cantautore. Durante Rai scatta una risatina generale per i tanti Dodo – dell’albero azzurro – che suonano violini. «Spero di tornare presto» dice prima di lasciare il palco con Albero

Maria Vera Genchi

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