«Non date sempre il microfono ai musulmani estremisti. Ma lasciate parlare anche chi non lo è» afferma Laith Mushtaq, corrispondente di Al Jazeera (il reporter iracheno che Step1 ha intervistato pochi giorni fa), al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, durante l’incontro tenutosi il 15 aprile dal titolo «Le religioni raccontate dai media». Un dibattito in cui si è cercato di capire la maniera e i modi con cui i giornalisti potrebbero o dovrebbero raccontare gli scontri religiosi, avvicinandosi sempre più alla verità, al di là della loro confessione e degli interessi delle testate giornalistiche per cui lavorano.
«Sono musulmano. E sono iracheno. Ma quando svolgo il mio lavoro, sono solo un giornalista» continua Mushtaq. Ad approfondire il dibattito insieme a lui due colleghe Lamis Andoni, giornalista e scrittrice di Betlemme, e Laura Silvia Battaglia, giornalista dell’Avvenire. «Per molti occidentali Betlemme è solo una città biblica. La sua storia però è storia di sofferenza» spiega Lamis Landoni. E continua: «Nel 2002 gli israeliani assediarono Betlemme. I palestinesi musulmani protessero la loro patria impugnando le armi. In quell’occasione molti media dissero che i musulmani erano a Betlemme. Pochi però si sforzarono di dire che la gente del luogo era assediata». Distorsione dei conflitti e distorsione di notizie in una realtà che «i politici tendono a mistificare, rendere un mistero». E i giornalisti in tutto questo? «I media creano stereotipi. Hanno detto che noi iracheni andiamo in giro con i cammelli, anche se da tempo utilizziamo le macchine. E dopo il crollo delle torri gemelle noi musulmani siamo stati etichettati come dei criminali» interviene Mushtaq. «Se noi giornalisti consideriamo nemiche altre religioni diverse dalla nostra, corriamo il rischio di diventare anche noi dei criminali» ammonisce la Landoni.
Durante l’incontro si è parlato anche delle discrepanze tra i media occidentali e quelli del Medio Oriente. Il motivo? Il frutto di una pessima ricostruzione storica dei luoghi oggetti di cronaca da parte dei primi perché vengono trattati svogliatamente dalla stampa. Ma come mai entrambi i media accendono i riflettori sui Paesi del Medio Oriente solo quando accadono episodi di estremismo religioso? «Parliamo del nostro Paese solo dopo una catastrofe perché molti sono i fattori politici che influiscono» risponde la giornalista a una ragazza del pubblico. «Esiste la storia di un Paese prima, e noi giornalisti abbiamo il dovere di ricostruirla» conclude Laura Silvia Battaglia.
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