«Oggi mi sento come un gabbiano chiuso in gabbia. Gli uccelli sono animali liberi di volare come lo sono stato io per tutta la mia vita. E oggi, a 80 anni, devo sentirmi imprigionato mentre i killer di mio figlio, mia nuora e mio nipote che non ho mai visto, sono liberi di girare indisturbati». Non nasconde la rabbia e la grande amarezza Vincenzo Agostino, papà di Nino, il poliziotto ucciso il 5 agosto 1989, a Villagrazia di Carini assieme alla moglie Ida Castelluccio, che da lunedì è sotto scorta. Il provvedimento, per ragioni di sicurezza, è stato adottato dal comitato provinciale per l’Ordine pubblico che ha deciso di assegnare un’auto blindata al testimone più importante dell’inchiesta.
Il 26 febbraio, infatti, Agostino, che dal giorno della morte del figlio ha deciso di non tagliarsi più la barba in segno di protesta, dovrà riconoscere il volto di Faccia di mostro, l’ex poliziotto Giovanni Aiello accusato di aver avuto un ruolo nell’omicidio del figlio. Ci sarà un confronto all’americana nell’ambito dell’incidente probatorio chiesto dalla Procura nell’inchiesta che vede indagati anche i boss Antonino Madonia e Gaetano Scotto, quest’ultimo al momento in libertà. Vincenzo Agostino, che ricorda ancora il numero civico dell’abitazione occupata da Aiello, lo ha incontrato pochi giorni prima dell’omicidio: «Aveva preso casa a pochi passi dalla nostra – racconta a MeridioNews Vincenzo – cosa era venuto a fare se non cercare mio figlio?»
Dopo 27 anni di false piste e silenzi impenetrabili forse l’indagine è a un passo dalla verità. Da qui la scelta di alzare il livello di sicurezza attorno al testimone chiave. «Apprezzo lo sforzo di proteggermi – prosegue – ma mi sento agli arresti domiciliari. Mio figlio è stato colpito quando era disarmato, loro lo sapevano e si definiscono uomini d’onore ma sono belve, anche peggio delle belve. E oggi mi domando se sia giusto che un cittadino che chiede verità e giustizia debba vivere sotto scorta mentre gli assassini fanno ciò che vogliono». Agostino non usa giri di parole e sfoga la sua rabbia contro Scotto, il boss ritenuto il responsabile dell’agguato.
«A questo vigliacco lo accusano i suoi compari, non lo accuso io – sottolinea -. Alcuni testimoni ricordano di un episodio in cui pubblicamente si vantava della morte di un poliziotto. Ed è assurdo che loro oggi siano liberi e cantino vittoria, io non ci sto». Per il papà di Nino, la condanna a morte del figlio è legata al fallito attentato all’Addaura a Falcone, perché «aveva scoperto qualcosa e per questo è stato eliminato». Nonostante il dolore Vincenzo, tuttavia, non ha perso la speranza che possa essere fatta piena luce sul sacrificio del figlio. «Tutto parte da lì – ribadisce – le stragi del ’92 si possono collegare a quell’episodio. Mi auguro che stavolta toglieranno gli scheletri dagli armadi ma se questo non avverrà – conclude – l’Italia non sarà mai libera. E io mi sento chiuso in gabbia e non posso rassegnarmi a sentirmi così».
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