Lavoratori, precari e studenti, sono scesi per l’ennesima volta in piazza l’11 dicembre 2009, a Roma, per manifestare contro le dure conseguenze delle ultime finanziarie. Tra gli studenti universitari, sicuramente i più numerosi erano quelli dell’Udu (Unione degli Universitari), associazione che si affianca alla CGIL, organizzatrice dello sciopero, e che ha mobilitato ragazzi e ragazze di moltissime città d’Italia.
Il corteo è partito da piazza della Repubblica e, dopo aver attraversato la città, si è fermato in piazza del Popolo. Interventi di precari e studenti si sono avvicendati in rapida successione, dando voce all’intera piazza: «Solo con il protagonismo degli studenti si può ridare senso alla gestione dell’università», dice un universitario.
Danilo Machi, infermiere precario del CTO, pone l’accento sull’allarme del settore sanità: «Il 70% del personale degli ospedali è costituito da precari», denuncia. Gli applausi si fanno più forti quando la parola passa ad Antonio Salvatore, vigile del fuoco abruzzese, che ha vissuto il dramma del terremoto: «Abbiamo un contratto scaduto da oltre venti mesi», si lamenta, dopo aver descritto la situazione di grande disagio, a causa della mancanza di risorse e mezzi, in cui si trovano ancora 20.000 persone.
Il clima si è acceso con gli interventi dei dirigenti della CGIL. Ha cominciato il segretario generale della funzione pubblica CGIL, Carlo Podda, che ha spiegato come il lavoro pubblico sia garanzia dei diritti costituzionali e quindi sia assolutamente necessaria una legge per la stabilizzazione del lavoro precario. Particolarmente sentito è stato il discorso di Mimmo Pantaleo, segretario generale della FLC, che ha ricorda alla folla che in ballo c’è principalmente la dignità delle persone: «Siamo qui per difendere la democrazia, e pretendiamo che entri nei posti di lavoro», sostiene. Riferendosi ai tagli relativi ai fondi delle università si chiede: «Come si può dire di volere una scuola di qualità se si taglia la ricerca dell’università?». Per poi concludere: «Ricordiamoci che la parola “riforma” deve implicare il benessere di tutti».
È Guglielmo Epifani, a chiudere la serie di interventi: «C’è di mezzo l’avvenire del nostro Paese», afferma il segretario generale della CGIL. «Bisogna che si inizi a considerare i settori della ricerca, della sicurezza, della scuola, della sanità, come patrimonio della collettività nazionale», continua. Per Epifani, il lavoro pubblico sta alla base del concetto di legalità, democrazia e della nostra Costituzione, figlia di una durissima lotta che ha liberato il Paese dal fascismo. Quando ha finito di parlare, l’applauso è durato a lungo.
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