Sciopero Cobas, in piazza studenti, docenti e impiegati «Il lavoro è diventato un beneficio e non è più un diritto»

«Noi vediamo un unico filo, dall’alternanza scuola lavoro al Job’s Act passando per i decreti Minniti: un’aggressione all’idea di salario, del lavoro garantito dal contratto collettivo nazionale». Giorgia Listì spiega così lo sciopero Cobas che questa mattina si è snodato da piazza Croci fino a piazza Verdi. L’appuntamento palermitano rientra all’interno dello sciopero generale nazionale di tutte le categorie e dei comparti pubblici e privati. «Vogliamo contrastare le misure propugnate dalle politiche del governo Gentiloni e prima da Renzi – continua Giorgia, che oltre ad essere un’attivista Cobas è anche docente al Cesp – che vogliono dividere, settorializzare e creare continui conflitti tra lavoratori e lavoratrici, tra ricchi e poveri, tra bianchi e neri. Così il lavoro diventa un beneficio che qualcuno ti dà, non un diritto che tu hai. Riteniamo che i migranti siano stati un laboratorio di come si criminalizzano e si precarizzano interi pezzi della società».

In città a sfilare in corteo ci sono centinaia di studenti medi e universitari, docenti e lavoratori soprattutto del pubblico impiego.In un’unione di intenti all’insegna del contrasto alla precarietà, anche in settori generalmente tutelati come appunto il mondo della scuola. «Attraverso l’alternanza scuola lavoro anche noi studenti veniamo avvicinati a quest’idea di perenne precarietà – dice Annalisa Lauricella -, in quanto a partire dai banchi di scuola veniamo abituati a essere sfruttati. Ci offrono un tipo di impiego che è prettamente gratuito in modo da arrivare ad approcciarci al mondo del lavoro con un bagaglio imposto: non ci dobbiamo aspettare niente in termini di garanzie, in termini di contratti, dobbiamo semplicemente adeguarci. Per questo motivo la battaglia non è solo nostra ma è di tutti». 

Lo dimostra anche la presenza di tanti insegnanti e docenti, sempre più in difficoltà all’interno di un microcosmo – quello dell’istruzione – che sacrifica il concetto di educazione per far posto ai ritmi della produzione. Come conferma Giovanni Mancino, insegnante di Italiano e Storia al liceo artistico Catalano. «Chi tenta ancora di veicolare strumenti educativi si ritrova sempre più marginale – ammette il docente -. Quella che è la scuola della competenze ci chiede di sfornare ragazzi che ottengano risultati calcolabili rispetto ai parametri che non sono quelli di una crescita libera e autonoma ma sono appunto quelli del capitale. Non ci stiamo a una scuola che schiavizzi. Il lavoro ormai viene regalato e non più valorizzato».

Andrea Turco

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