Sceso l’ex pentito che minacciava il suicidio «Un complotto contro di me»

Sette ore in bilico sul tetto di un palazzo di piazza Università. Piergiorgio Pantano, ex collaboratore di giustizia di 47 anni, è sceso dal cornicione di palazzo Gioeni intorno alle 13:30. Era lì dalle 6 di questa mattina, quando era salito arrampicandosi sul ponteggio che circonda l’edificio, e minacciava di suicidarsi. «Ho paura per la mia vita, chiedo che mi venga applicato nuovamente il programma di protezione» ha detto ai giornalisti prima di scendere. Pantano denuncia di aver subito «atti intimidatori ad opera di malavitosi» e di essere sottoposto ad «atteggiamenti vessatori, persecutori ed illegali da parte di certi poliziotti».

La sua storia intreccia quella della mafia locale e del terrorismo. Arrestato una prima volta nel 1986 e condannato per aver preso parte a nuclei armati proletari, l’anno dopo prende le distanze dal terrorismo, ma deve fare ancora i conti con la criminalità organizzata. Tutti e tre i suoi fratelli, Francesco, Carmelo e Rosario Pantano, vengono uccisi in agguati mafiosi. Piergiorgio, parente del boss mafioso Santo Mazzei, del clan dei Cursoti, poi uomo d’onore rifrimento dei corleonesi, decide di collaborare con la giustizia. È il 1995. Tra il 1993 e il 1997 Pantano minaccia più volte di suicidarsi gettandosi dal tetto del Duomo di Catania. Un altro tentativo risale al 1996, in una camera d’albergo di Belluno, dove si trova sotto protezione.

Proprio a Belluno viene denunciato nel 1995 per presunte molestie sessuali ed è costretto a trasferirsi in un’altra località segreta del Nord Italia. Viene prosciolto dalle accuse, ma voci simili lo seguono anche a Catania. È Pantano stesso a parlarne appena sceso dal cornicione. «Contro di me è in atto un complotto – ha spiegato – voci messe in giro perchè ho denunciato boss della mafia, ho paura di queste macchinazioni perchè sono un uomo indifeso». Mentre racconta queste cose si fermano alcuni ragazzini, lo salutano, lui ricambia portandosi la mano al cuore in segno d’intesa. «Lo portano in carcere? – chiede uno di loro – è un po’ pazzo ma è una brava persona, lo incontriamo sempre al McDonald di piazza Stesicoro».

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L’angolo tra via Etnea e piazza Università è rimasto chiuso per ore, sorvegliato da polizia, esercito, carabinieri guidati dal capitano Luigi Balestra e vigili del fuoco. Nella mattinata sono stati vani i tentativi di dialogo tra forze dell’ordine e Pantano. «Sarebbe utile se invece di stare qua a parlare con me, avvertiste il procuratore capo di Catania, dottor Giovanni Salvi. Sono qui perché voglio parlare con lui o con l’arcivescovo Gristina», ha ripetutamente gridato l’uomo dal terrazzo del palazzo. Sempre gentile e misurato, ma ostinato a non voler scendere. «Qui sono e qui resto. Chiunque prova a salire senza il mio permesso, lo fa a suo rischio e pericolo», urlava a polizia e carabinieri presenti sul posto. Una trentina d’agenti tra vigili del fuoco, esercito, polizia e carabinieri per bloccare la centralissima via Etnea ed impedire che l’uomo compisse un gesto estremo. «Obbligarmi a scendere sarebbe un atto di violenza», gridava dal tetto. Eppure a raggiungerlo su quel cornicione, durante la mattina, sono stati in molti. Un carabiniere in borghese, poi un prete e due suore dell’ordine di Madre Teresa di Calcutta a cui Piergiorgio pare si sia legato negli ultimi tempi per intraprendere un cammino di fede.

Poi la reiterata richiesta di parlare con la stampa. Ottenuta la promessa di un incontro col procuratore capo Giovanni Salvi, è sceso grazie all’aiuto di un’autoscala dei vigili del fuoco.
«Non voglio più essere sottoposto a un pregiudizio atavico – ha detto in lacrime una volta in strada – A Salvi, che è una persona per bene, denuncerò fatti precisi e circostanziati».

Salvo Catalano

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