«C’è un tempo per seminare, uno per aspettare, un tempo negato e uno segreto, un altro distante e uno sognato che bisognava sognare», canta Ivano Fossati. È il tempo degli uomini ed il coreografo israeliano Amos Ben-Tal lo chiama Kairos: termine greco che indica il loro relazionarsi con esso. Parola che dà anche il titolo alla prima performance del weekend a Scenario pubblico, dove un quadrato tracciato sul palco scandisce l’interazione dei danzatori della giovane compagnia MoDem del gruppo Zappalà. A ciascuno è concesso un tempo per sé. Insieme ma da soli. A tempo e in tempo. A ognuno un mood soggettivo, con cui esprimere la propria relazione con la musica composta dal medesimo scenografo. Testo parlato e battito di orologio: un metronomo quasi umanizzato che non fa soltanto da sottofondo.
Un quadrato nel quale muoversi prima distintamente e poi sincronizzati: perché c’è un tempo per stare da soli e uno per stare con gli altri. Anche se questo Fossati non lo dice. Ma Amos Ben-Tal sì. «Il tempo ha due dimensioni: la speranza per il futuro ma anche la paura di ciò che può accadere», chiarisce dopo lo spettacolo. Poi una rottura con la prima parte: la corsa di una danzatrice fa da collante con una dimensione più tenue, in cui il tempo si dilata, quasi fino a scomparire. A conclusione capriole all’indietro, prive di spinta, così lentamente concesse soltanto dalla forza dell’addome. Quasi a dire che si torna sempre indietro. «I’m coming back to the start», canterebbero i Coldplay.
Sul palco presente e passato. La seconda esibizione risale al 2009 ed è d’impatto, carica di una identità scenografica e musicale molto forte. Una esplorazione del compositore John Cage, che dà il nome all’opera: Corpo Cage, di Roberto Zappalà. Una scelta musicale rinvigorita visivamente da quella dei colori: beige e rosso su tutti gli esecutori. A eccezione di un personaggio fuori campo: una maschera bianca, che ad un certo punto – finalmente – irrompe nell’arena e danza insieme agli altri . Poi però rimane a terra. Forse schiacciato dal peso della maschera, troppo pesante da portare. Sarà per questo che alla fine si scioglie. A trionfo dell’autenticità.
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