Escono alla spicciolata scortati dai poliziotti in borghese. Lo sguardo perso nel vuoto e i volti segnati dall’assenza di sonno. Pochi secondi per entrare, uno alla volta, nelle macchine della polizia. Nessuna sirena e niente clamore per annunciare il trasferimento in carcere. Il resto della storia la scriverà un giudice consultando un provvedimento di poche pagine. Sintesi di un’informativa ben più corposa, frutto di un complesso lavoro durato mesi. Quelle persone, tutte nigeriane, secondo quanto MeridioNews è in grado di svelare in esclusiva sono accusate di fare parte di un culto mafioso africano, attivo tra il Centro d’accoglienza per richiedenti asilo di Mineo e Catania. Quasi venti persone fermate due notti fa e i cui nomi, almeno per il momento, vengono tenuti sotto il più stretto riserbo. In mezzo c’è la presunta affiliazione alla gang dei Vikings. Gruppo criminale transnazionale nato in ambito universitario e in parte convertito al mondo della criminalità. Ispirandosi, con i colori rossoneri, alla mitologia nordica del dio Odino e della moglie Frigg. Simboli di un culto che ha una regola chiara e inquietante: «Non ritirarsi mai prima della morte».
Dietro le sbarre non sono finiti soltanto i capi, conosciuti con l’appellativo di don, ma anche corrieri della droga – tra cui alcune donne – e picchiatori. Un insieme variegato, emerso tra pedinamenti e intercettazioni ambientali e telefoniche. La novità per la Sicilia orientale è il tipo di reato che viene contestato. Ovvero quello di fare parte di un’associazione a delinquere di stampo mafioso che si sarebbe avvalsa degli stessi metodi di assoggettamento di Cosa nostra siciliana. Praticamente un nuovo capitolo di quanto già venuto fuori a Palermo, con il quartiere popolare Ballarò che si era trasformato in una piccola roccaforte della confraternita dei Black Axe, le asce nere. Decisivo, sul fronte che ha riguardato il capoluogo siciliano, sono state le dichiarazioni di Austine Ewosa – da tutti conosciuto come Johnbull, presto ribattezzato il Buscetta nigeriano. Il copione nell’inchiesta etnea sarebbe grosso modo lo stesso: organizzazione verticistica e affari legati principalmente a droga e prostituzione. In mezzo un mondo mistico in cui si mischiano credenze popolari e riti. Come quello che da decenni trasforma migliaia di donne in schiave dell’industria del sesso perché vincolate da un giuramento in cui si mangiano cuori di galline o ci si fa segnare la pelle con un rasoio.
Tutto condito da un’elevata dose di violenza. Perché, a differenza di cosche e famiglie mafiose siciliane, le gang della Cosa nera sembrano essere poco inclini alla strategia dell’insabbiamento. Meglio risolvere le contese sfoderando pesanti maceti, alcuni dei quali sequestrati la notte scorsa. Negli ultimi mesi del 2018, come MeridioNews ha raccontato in un lungo approfondimento pubblicato nei giorni scorsi, sono stati almeno due i fatti di sangue registrati al Cara di Mineo e finiti sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori. Liti con numerose persone coinvolte e con i feriti costretti alle cure dei medici dell’ospedale Gravina di Caltagirone. Uno di loro, per esempio, è stato arrestato e per entrare nei locali della polizia è sceso dalla macchina con un paio di stampelle.
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