Saponara, ancora in attesa tre anni dopo Restano gli sfollati, il fango e la rabbia

Era il 22 novembre del 2011 quando il fango ha inghiottito Saponara, Comune di tremila abitanti in provincia di Messina. Quella sera persero la vita in tre: Luca Vinci, Giuseppe e Luigi Valla. Oggi, a distanza di tre anni e mezzo, poco sembra essere cambiato. Per i 225 sfollati la vita non è mai ripresa normalmente: solo alcuni sono parzialmente rientrati nei propri appartamenti. E nonostante i fondi – col contagocce – e le gare di solidarietà, la messa in sicurezza è ancora lontana. «Siamo un po’ seccati, hanno fatto solo le indagini geognostiche in alcune zone, ma non in centro – racconta Mariella Puglisi del comitato cittadino Per la ricostruzione di Saponara – Stanno facendo i progetti, l’idea è di presentarli entro luglio e, prima che finisca l’estate, ci hanno detto che inizieranno i lavori. Ma prima avevano detto a giugno». Il sindaco avrebbe anche inviato una lettera al governatore regionale Rosario Crocetta per lamentare l’inerzia di Calogero Foti, a capo della Protezione civile, ente che dovrebbe gestire il risanamento della zona colpita dall’alluvione.

«Si è trattato di un caso anomalo, perché è un’area che ha ricevuto la manutenzione dei cittadini. Anche le inchieste della Procura hanno chiarito che ciò che si è verificato è legato all’eccezionalità dell’evento», spiega Bruno Manfrè della Protezione civile. «Le risorse a disposizione ammontano a 48 milioni di euro e, all’inizio, sono state date dalla Regione con il contagocce – continua – Di questi, i primi 20 milioni li abbiamo usati per procedere a lavori di somma urgenza, contributi e affitti». D’altronde, come spiega lui stesso, gli interventi dell’ente regionale servono a «ripristinare le condizioni minime». Ma per mettere in sicurezza la zona dove sono morte tre persone ci vorrà ancora tempo. E soldi. Persino i quasi 800mila euro raccolti con gli sms solidali sono stati spesi in ritardo, «perché pare che in un primo momento le compagnie telefoniche li volessero destinati a piazze o palazzetti con una targa che li ricordasse», racconta Puglisi.

I cittadini, intanto, attendono. «Qui sotto c’erano cinquant’anni di storia che è sfumata», racconta Salvatore Pino, titolare dell’omonimo bar, indicando le etichette di bottiglie pregiate ormai cancellate dal fango. Per i commercianti sono state previste poche agevolazioni. Tra cui la possibilità di un mutuo. «Io ne ho fatti due – racconta Pina, dal bancone del suo minimarket – Con uno ho sistemato il negozio, con l’altro ho pagato in parte il primo mutuo e il resto l’ho usato per vivere. Perché il solo lavoro non bastava più, abbiamo dovuto ricominciare tutto da capo». Tra chi si arrabbia e chi sospira, aleggia comunque la rassegnazione. Anche davanti al ricordo delle promesse e delle speranze di vedersi quanto meno annullare le tasse da pagare.

E non va meglio nelle case. «Io non posso ancora rientrare perché casa mia è nella zona rossa», spiega Puglisi. «Mia moglie, ogni volta che va in sala da pranzo, piange – racconta Giuseppe Bertino – Lo sa solo lei tutti i ricordi che teneva in quella vetrinetta e che ha perso». «La vita ti cambia per sempre», dice con un filo di voce Gianluca Ghezzi. Lui è tra quelli che hanno perso di più. Il piccolo Luca, «il figlio di mia moglie Piera – racconta con voce calma, ma che ancora si incrina al ricordo di quella sera e del vuoto che ha provocato – Quando il fango ha invaso la casa, ho infilato le mani lì in mezzo per aiutarli. La prima che ho trovato è stata Piera. Ma, quando ho tirato fuori Luca, ho capito che non c’era più». Oggi, della casa a due piani che ospitava la famiglia, non restano che lo scheletro abbandonato e le macchie di fango sul muro.

Salvo Catalano

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