Gli
inconfondibili baffi, il tradizionale sacco bianco e sulla spalla sinistra la varetta in cui è posizionato il busto argenteo che custodisce alcune delle reliquie di Sant’Agata. Un privilegio ambitissimo dai devoti della santuzza ma riservato a pochi. Tra questi c’è stato Pietro Diolosà, ex presidente del circolo di Sant’Agata finito imputato, e poi assolto in Appello, nel processo per le presunte infiltrazioni di Cosa nostra nei festeggiamenti. La sua presenza tra i portatori, durante la giornata del 4 febbraio, ha creato diversi interrogativi tra gli organizzatori della festa. Perché, al di là delle mancate responsabilità penali, Diolosà è stato uno dei protagonisti del periodo grigio della gestione del circolo più antico dedicato alla patrona di Catania, oggi commissariato dall’Arcidiocesi etnea e affidato al controllo di Rosario Rizza. Diolosà, fin dagli anni ’90 parte attiva dell’associazione che si occupa di organizzare la festa, dal 2002 al 2005 ne è stato presidente e contemporaneo direttore del cereo. Allora, in corsa per il ruolo di vertice del circolo c’erano anche Antonino Santapaola e Vincenzo Mangion, appartenenti a Cosa nostra. Ex tessere numero uno e due dell’associazione, seppure battuti da Diolosà avrebbero mantenuto un ruolo all’attivo nel gruppo agatino.
Per l’ex presidente la procura di Catania, con il magistrato
Antonio Fanara, aveva chiesto in primo grado la condanna a due anni e otto mesi per concorso esterno in associazione mafiosa perché «apportava un contributo all’associazione mafiosa Santapaola-Ercolano permettendo alla stessa di insinuarsi nel circolo e di governare le fasi principali della festa», si legge nei documenti dell’accusa. Ma per i giudici a mancare sarebbero state le prove di una reale vicinanza e supporto all’ambiente malavitoso. Restano comunque alcuni fatti. Come le accuse dei collaboratori di giustizia, tra cui quella dell’ex reggente del quartiere Monte Po Natale Di Raimondo che racconta ai magistrati di avere conosciuto Diolosà – «uno di quelli che contavano per la candelora del circolo di Sant’Agata» – negli anni ’90, in occasione di una sfilata del cereo del circolo organizzata dal boss nel suo quartiere. O come, nel 2004, la lunga sosta del busto della santa, con tanto di fuochi d’artificio abusivi, davanti a casa del boss Giuseppe Mangion da poco scarcerato. Un legame particolare quello dell’ex presidente con la famiglia Mangion: nel 2006, quando muore u zu Pippu, è un’intercettazione che racconta di un Diolosà «distrutto», che si fa carico dell’organizzazione del funerale, riuscendo a fissare le esequie proprio per giorno 4 febbraio, data dei festeggiamenti di Sant’Agata con il cosiddetto giro esterno. Lo stesso che, dodici anni dopo, fa tornare protagonista l’ex presidente.
Ma chi è che sceglie i devoti incaricati di accompagnare il busto verso la vara all’esterno del Duomo? «Il responsabile
è il maestro del fercolo», spiega a MeridioNews il presidente del comitato dei festeggiamenti Francesco Marano. Rifacendosi anche a un documento: «I nominativi dei collaboratori, circa 40 in tutto, sono contenuti in una lista controllata minuziosamente dalla questura. Sono certo che all’interno di questo elenco non ci sia il nome di Pietro Diolosà», conclude. Dichiarazioni che trovano conferma anche nelle parole di Claudio Consoli, capovara per il terzo anno di fila. «Io ho regolato il ruolo dei seminaristi che trasferiscono il busto dall’altare al transetto – spiega al nostro giornale -. In quel momento Sant’Agata viene sostanzialmente consegnata ai devoti e c’è un numero elevato di persone che si avvicinano, difficile da controllare. Soprattutto il 4 mattina, non riesco ad allontanare chi si infila in quel momento. Che gli dico: hai la peste?». Stando alle parole del capovara, quindi, Diolosà non sarebbe stato tra le persone designate ma si sarebbe, per così dire, imbucato.
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