Un vademecum per spiegare ai medici e agli infermieri come evitare di prenderle. Le aggressioni ai medici durante il normale turno di lavoro non sono rare, scatenate spesso dai familiari dei pazienti. Per frenare il fenomeno all’ospedale Papardo di Messina, la direzione generale guidata da Michele Vullo ha approvato un manuale per la prevenzione.
La guida descrive il ciclo dell’aggressione, scandito da cinque fasi. La prima è quella dei fattori scatenanti, seguita dall’escalation, dalla crisi, dalla fase del recupero e infine da quella della depressione post criticità. Il vademecum parte proprio dall’inizio: «Gli operatori devono essere preparati alle possibili conseguenze degli atti di violenza e devono essere cauti e vigili quando si avvicinano ai pazienti e ai visitatori e devono sapere riconoscere specifici segnali di allarme».
Uno dei consigli è ruotare il corpo di circa 30 gradi rispetto all’interlocutore. E ancora «tentare di comunicare allo stesso livello del paziente, mantenere una giusta distanza, con braccia abbassate, non incrociate, e mani aperte perché mostrano che non si è aggressivi. I gesti devono essere sempre lenti e delicati». Bisogna anche evitare di alzare la voce. Nel caso di pazienti con disturbi psichiatrici, ubriachi o drogati, si sottolinea di prestare «attenzione alle espressioni di rabbia, ai volti paonazzi, a chi alza la voce, alla tensione muscolare, alla gestualità esagerata».
Il vademecum – che nasce sulla scorta della raccomandazione ministeriale del novembre 2007, che nel dettaglio spiega a medici e operatori sanitari che comportamento tenere con i pazienti – riserva grande attenzione alla comunicazione verbale e a quella non verbale. Si suggerisce di «usare un tono caldo e rassicurante, non polemizzare apertamente, non ironizzare, ridurre la tensione cercando soluzioni comuni, non dare ordini perentori, non biasimare e non moraleggiare». Se tutto ciò non dovesse bastare, la guida invita alla soluzione più semplice: chiamare aiuto e scappare.
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