Sanità catanese, commissariata e senza soldi Tutti i retroscena di vizi e nomine mancate

Se provate a chiedere notizie nei palazzi della politica di Palermo sul perché il governo regionale ha deciso di tenere a bagnomaria la sanità pubblica catanese, nella migliore delle ipotesi allargheranno le braccia e vi risponderanno: «Cose di Catania sono». Ma è proprio così? A noi non sembra. A noi sembra che queste cose di Catania, in realtà, nascono proprio a Palermo: perché è nel capoluogo dell’Isola che è maturata la Recitazione sulla sanità pubblica catanese che ormai va avanti da mesi.

Già, la Recitazione. Parlano i fatti: il Cannizzaro è commissariato; il Policlinico è commissariato; e, cosa ancora più grave, anche l’Azienda provinciale di Catania (Asp), circa cinquemila dipendenti, seconda solo all’Asp di Palermo, forse l’azienda con il maggior numero di dipendenti nella provincia etnea, è commissariata. Insomma, con la sola eccezione del Garibaldi (dove si è insediato il direttore generale Giorgio Santonocito e, guarda caso, è l’unica struttura sanitaria catanese che funziona a pieno ritmo), tutta la sanità pubblica etnea è commissariata. Questo mentre in tutte le altre aziende ospedaliere e sanitarie della Sicilia si sono già insediati e operano i direttori generali. Non si tratta, come proveremo ora a illustrare con i numeri e con la realtà delle cose, di fatti secondari. Al contrario, si tratta di una condizione, imposta dalla politica, che limita l’operatività della sanità pubblica catanese e ne riduce le potenzialità e le disponibilità finanziarie.

Perché se nella sanità non si programma, si sa, si procede a tentoni e si utilizzano meno risorse. Cosa, questa, che magari potrà fare piacere a una Regione siciliana sempre a caccia di soldi (soprattutto dei soldi che, se non vanno nei territori, con riferimento soprattutto alle otto province, vengono risucchiati da Palermo, in nome e per conto di una Regione da sempre Palermocentrica) e anche al governo nazionale che non sembra molto disposto ad aprire i cordoni della borsa per la Sicilia. Anzi. Non bisogna dimenticare che una parte delle risorse per gli investimenti, nella sanità, arrivano da Roma: e se la sanità di una provincia non chiede soldi, tanto di guadagnato per il governo nazionale.

Per provare a descrivere come si è arrivati al sostanziale commissariamento della sanità pubblica catanese dobbiamo partire dall’estate che si è appena conclusa, quando vanno in scena i casi di Paolo Cantaro e Angelo Pellicanò, due stimati dirigenti nominati dal governo regionale di Rosario Crocetta, rispettivamente, direttore generale del Policlinico universitario e direttore generale del Cannizzaro. Cantaro e Pellicanò vengono nominati, ma il governo regionale di Crocetta tiene bloccate le nomine dei direttori generali della sanità siciliana. Li sblocca soltanto dopo che il governo nazionale vara un decreto che impedisce ai dirigenti in pensione di andare ad occupare i vertici delle strutture sanitarie pubbliche.

Questo benedetto decreto entra in vigore il 25 giugno. Cantaro e Pellicanò sono stati nominati qualche mese prima senza insediarsi. Dopo il 25 giugno, guarda caso, il governatore Crocetta e l’assessore alla Salute Lucia Borsellino scoprono che Cantaro e Pellicanò non possono più insediarsi a causa del decreto del governo Renzi.
A tanti osservatori questa storia – e soprattutto l’epilogo – sembra una sceneggiata creata e gestita ad arte per mettere fuori due stimati professionisti che, sempre guarda caso, erano sponsorizzati dal Pd: o meglio, da un’area del Pd siciliano che non va molto a genio al governatore Crocetta e al suo fido alleato, il senatore Giuseppe Lumia. Pare che i due esclusi abbiano inoltrato ricorso. Con qualche speranza ben riposta, se è vero che sono stati nominati prima del decreto che li ha esclusi. Si vedrà. Forse con colpi di scena.

Gli obiettivi del governo regionale, a quanto pare, non coincidono con quelli degli abitanti di Catania e provincia, che si ritrovano con una sanità pubblica commissariata, con tutte le conseguenza del caso. «Conseguenze pesanti – spiega Renato Scifo, neuropsichiatra infantile, del coordinamento provinciale della Cgil medici di Catania -. Perché con la gestione commissariale si può fare veramente poco. Soprattutto se il commissario è convinto di essere di passaggio, in attesa della nomina di un direttore generale che, però, non si materializza». Scifo ci racconta della Asp di Catania, dove la commissaria, dottoressa Rosalia Murè, si farebbe vedere una o due volte ogni settimana. «Dirigente bravissima, per carità – aggiunge Scifo – ma, non avendo pieni poteri, cosa può fare?».

L’Asp catanese, in condizioni ordinarie, approva qualcosa come duemila delibere al mese. Con la gestione commissariale le delibere si sarebbero ridotte a trecento al mese o giù di lì. «Non ne farei una questione di numeri – aggiunge il sindacalista -. Il vero problema è che tutta la programmazione è bloccata, così come le piante organiche. Siamo quasi alla paralisi. Colpa del governo regionale che ha creato una situazione grave». In effetti, al dipartimento Prevenzione della Asp di Catania, il dirigente era Domenico Barbagallo. Poi nominato direttore sanitario. Ma mai sostituito. Oggi Barbagallo è in pensione, sostituito, alla direzione sanitaria, da Franco Luca. Ma il dipartimento prevenzione rimane senza vertice.

Non è il solo caso. Ci dicono che, in questa confusione generale, i medici che vanno in pensione non vengono sostituiti. La Regione risparmia, certo. Ma sulla pelle dei cittadini di Catania e della sua provincia. Il tutto in una sanità siciliana priva di riorganizzazione della rete ospedaliera. Cosa, questa, che aumenta il caos. «E’ una voce di corridoio che gira – ammette Scifo – Non la posso confermare, né smentire. Ma non è che con tutto questo caos nella sanità pubblica, alla fine, stiamo favorendo i privati?. Va da sé  – aggiunge – che il blocco della Asp si riverbera negativamente in tutto il territorio», aggiunge Scifo.

Parliamo, cioè, degli ospedali della provincia finiti sotto il controllo della Asp. Quelli di Acireale e Giarre sono stati unificati. Il primo funziona, «anche se che potrebbe funzionare meglio», precisa il coordinatore della Cgil medici catanese. L’ospedale di Giarre, invece, è un mezzo delirio. «In ogni caso – aggiunge Scifo – ci sono criticità dovute alla mancata riorganizzazione e, soprattutto, alla carenza di organici». I soliti medici che vanno in pensione e non vengono sostituiti. Poi ci sono gli ospedali di Paternò e Biancavilla, riunificati. E gli ospedali di Bronte e Caltagirone, che, per la posizione che occupano nel territorio, andrebbero potenziati. Mentre quelli di Giarre, Biancavilla e Paternò, forse andrebbero rivisti, al netto delle pressioni politiche clientelari e alla luce di una sanità del territorio che, a Catania e provincia, andrebbe migliorata.

La medicina del territorio, voluta dalla legge regionale n. 5 del 2009 – erano i tempi del governo di Raffaele Lombardo e dell’assessore alla Salute, Massimo Russo – avrebbe dovuto essere la carta vincente della sanità siciliana. Strutture sanitarie sparse nel territorio per alleggerire la pressione negli ospedali e, soprattutto, nei pronto soccorso. Stando alla legge 5, la Regione avrebbe ridotto i servizi nelle Aziende ospedaliere siciliane. In cambio avrebbe istituito i Pta (Punti territoriali di assistenza) e i Pte (Punti territoriali di emergenza). Questi ultimi avrebbero dovuto lavorare a stretto contatto con i medici di famiglia. Pta, Pte e medici di famiglia avrebbero dovuto curare i codici bianchi e i codici verdi, evitando di dirottarli nei pronto soccorso.

In effetti, in Emilia Romagna il sistema funziona. Risultato: il carico di malati negli ospedali pubblici si è ridotto. E i pronto soccorso non sono intasati da codici bianchi e verdi. E in Sicilia? Lombardo e Russo hanno sbaraccato mezza sanità pubblica siciliana. Ma di Pta e Pte se ne sono visti pochi e istituiti con notevole ritardo. Insomma, Lombardo e Russo a tagliare erano bravissimi. A costruire un po’ meno.
A Catania e provincia ci sono tre Pta e sei Pte. Ma si lamentano tutti. Soprattutto per la mancanza di strumentazione. Mentre il rapporto tra queste strutture e i medici di base è rimasto sulla carta. Risultato: la pressione sugli ospedali non si è allentata. Mentre i pronto soccorso sono intasati dai codici bianchi e dodici verdi. Anche su questo fronte un mezzo fallimento. Forse più di mezzo.

Giulio Ambrosetti

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