Un’ambulanza che arriva e riparte verso l’ospedale, ma che sembra non essere arrivata mai al Pronto soccorso. La storia di Boi Illah Dansoko, il 32enne nativo del Mali morto lunedì sera in un’abitazione di San Berillo, si tinge sempre più di giallo. A volerci vedere chiaro adesso non sono solo i connazionali e gli attivisti impegnati nel quartiere, ma anche la procura di Catania che, come verificato da MeridioNews, ha aperto un fascicolo dopo le denunce alla polizia fatte da alcuni testimoni e da un familiare. Il corpo di Dansoko – arrivato in Italia diversi anni fa ma che avrebbe voluto fare ritorno in Gambia, la terra adottiva in cui vive la famiglia – dopo la funzione religiosa con rito islamico svoltasi ieri, è stato trasferito all’ospedale Cannizzaro di Catania. Il magistrato ha disposto l’autopsia sul cadavere. A trovarlo senza vita erano stati anche i medici arrivati nella tarda serata di lunedì nell’immobile di via Di Prima, dove l’uomo, che non aveva una dimora fissa, aveva trovato ospitalità.
«L’ambulanza è arrivata in ritardo e in una prima circostanza non aveva a bordo il medico né le apparecchiature necessarie. Per la seconda si è atteso almeno un’altra mezzora», racconta al nostro giornale uno dei testimoni che hanno assistito alla scena. Il resoconto è riportato anche nella denuncia presentata in questura da un 21enne gambiano. «Alle 19.30 circa, sotto casa c’erano due miei connazionali che piangevano. Immediatamente – si legge nel documento visionato da MeridioNews – ho pensato che il mio amico Illah stesse male. Sono salito fino al secondo piano per vedere come stesse: era disteso sul tappeto. Ho pensato che stesse morendo ma respirava ancora. Ho subito chiesto (alla persona che aveva dato ospitalità a Illah, ndr) se avesse chiamato l’ambulanza e mi ha risposto: “Abbiamo chiamato e mi hanno detto che stanno arrivando”». L’attesa, prolungata dall’arrivo di un primo mezzo non attrezzato, sarebbe stata lunga al punto che per i sanitari non c’è stato nulla da fare: «Sono cose che succedono, potrebbe capitare anche a te», sarebbe la frase detta da una dottoressa, dopo avere diagnosticato il decesso del 32enne.
Alla morte dell’uomo sono seguiti momenti di tensione causati dal dolore per la perdita e dalla sensazione che non tutto il possibile fosse stato fatto. Sul posto sono arrivate diverse volanti della polizia, nel timore di proteste violente che però non ci sono state. Mentre l’indomani un blocco stradale è stato inscenato per attirare l’attenzione sulla vicenda. «C’era gente che piangeva e si disperava, c’era dolore. Di certo non una minaccia per l’ordine pubblico», sottolinea una delle persone che vive nel quartiere e che conosce le comunità di migranti che popolano le vie di San Berillo. E aggiunge: «L’attenzione va rivolta altrove, per cercare di capire se ci sono state omissioni».
Il timore, condiviso da migranti e attivisti, è che Illah possa essere stato vittima di un caso di malasanità. Non solo per i ritardi nella catena dei soccorsi, ma anche per quello che è accaduto e non è accaduto due giorni prima del decesso. Ed è qui che entra in gioco l’ambulanza che – perlomeno stando a quanto fatto sapere dall’ospedale Garibaldi a MeridioNews – non sarebbe mai arrivata al Pronto soccorso di piazza Santa Maria di Gesù.
Stando a quanto accertato da questa testata, sabato mattina 14 novembre (e non domenica, come un primo tempo riportato) un’ambulanza del 118 è arrivata in via Pistone, dove si trovava Illah. L’uomo da giorni accusava dolori al torace. Il mezzo di soccorso è partito per la volta dell’ospedale Garibaldi Centro, che ospita il pronto soccorso più vicino. Stando alla denuncia, Illah sarebbe stato dimesso velocemente. «Nel pomeriggio (nel documento si parla di giovedì, ma si tratta di un refuso, ndr) l’ho incontrato nel quartiere. Gli ho chiesto informazioni sul suo stato di salute, che cosa gli avessero fatto al pronto soccorso. Lui mi rispondeva che si sentiva meglio e che gli avevano fatto solo una puntura, dopodiché era stato dimesso». A dispetto dell’apparente miglioramento, Illah è tornato a sentirsi male nei giorni seguenti al punto da chiedere e ricevere ospitalità a casa di un altro migrante. Le sue condizioni sono via via peggiorate, fino a lunedì sera -23 novembre – quando all’arrivo della seconda ambulanza non c’era più nulla da fare.
Per capire cosa abbia portato alla morte il 32enne che l’anno scorso era stato fermato all’aeroporto di Fontanarossa mentre voleva partire per Instanbul – «non si trovava bene qui, voleva tornare in Gambia», dice chi lo conosceva – bisognerà attendere l’esito dell’autopsia. Sarà invece la polizia a ricostruire il percorso compiuto dall’ambulanza sabato mattina. Contattati da MeridioNews, hanno escluso l’accesso al proprio Pronto soccorso anche il Cannizzaro e il Policlinico.
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