«Grave atto di bullismo», «un gesto inaccettabile», «un bambino di nove anni picchiato da un suo compagno di classe». O forse una storia di «classismo ed esclusione sociale». Condita da un pizzico di cattiveria. È il 2 febbraio quando le pagine di cronaca locale iniziano a raccontare la storia di un presunto atto di bullismo all’interno dell’istituto comprensivo Falcone di San Giovanni La Punta. Un bambino di nove anni aggredito da un coetaneo – «ripetente da un anno», precisa il quotidiano La Sicilia – che gli avrebbe causato «ecchimosi sugli zigomi, dolori al fegato e un trauma al ginocchio». Ma dopo la denuncia della madre e del padre della piccola vittima, altri genitori dei compagni di classe e la stessa scuola fanno quadrato attorno alla maestra in quel momento presente. Che sarebbe colpevole, secondo i familiari del bimbo maltrattato, di non aver vigilato abbastanza «malgrado – si legge ancora sul quotidiano etneo – la notoria pericolosità del minore, già segnalata al dirigente scolastico». Nella ricostruzione, però, manca un dettaglio: il decenne presunto bullo soffre di un lieve ritardo cognitivo. E non solo. «Nessuno degli alunni ha visto la scena e neanche le maestre. Può avvenire una cosa del genere senza che nessuno se ne accorga?», domandano dall’istituto. «E noi, che mandiamo i nostri figli a scuola con un bambino che pesta gli altri, saremmo tutti dei genitori scellerati?», chiede Manuela Maccarrone, tra le mamme firmatarie di una lettera che intende fare chiarezza.
Sul presunto bullo, dalla Falcone e Borsellino spiegano: «Il bambino è seguito da un’insegnante di sostegno per sei ore a settimana. In quella classe ad avere diritto all’assistenza c’è anche un altro alunno. La maestra aggiuntiva, in totale, sta lì per 12 ore a settimana e li segue entrambi». Sarebbe stata presente anche lei, assieme alla maestra titolare della cattedra, il giorno in cui il bambino di nove anni sarebbe stato picchiato dal suo compagnetto, più grande di un anno. Una storia non confermata da alcun testimone. «È stato detto che la maestra vuole difendere il bambino con handicap, ma questo non è vero – continuano dall’istituto -. E, comunque, non c’entrerebbe niente: il fatto è che, se l’aggressione non è stata vista da nessuno, come si fa a dire che è successo proprio quello e non qualcos’altro?». Anche perché, nella versione raccontata dai genitori della presunta vittima, parecchi dettagli sembrano non tornare. «Loro stessi si sono resi irreperibili, non ci siamo potuti nemmeno confrontare», continua Maccarrone. Dopo la denuncia alla stampa, i genitori hanno deciso di spostare il figlio in un’altra scuola, seguendo un altro ex compagno di classe. L’impressione è che questi genitori non gradissero la presenza di un bambino problematico accanto ai propri figli. E così i piccoli alunni sono rimasti in 17.
«A noi i bambini raccontano tutto – spiega Maccarrone -, sappiamo quando il loro compagnetto ha dei momenti di nervosismo, ce lo raccontano. Ma fuori da scuola abbiamo sentito un allarmismo ingiustificato da parte di chi non vive ogni giorno quella classe». Preoccupazione che alcuni genitori starebbero trasmettendo anche ai figli. «Alcuni bambini di altre classi sono terrorizzati. Per questo ci siamo dette che era il momento di fare chiarezza». Anche come gesto di solidarietà all’insegnante presente al momento del presunto pestaggio – «una maestra che, se fossero tutte come lei, la scuola sarebbe un’altra cosa» – e nei confronti dei genitori del bambini additato come bullo. «Lui deve avere tutto il sostegno necessario e non dev’essere messo da parte». «Chi decide di mandare i propri figli alla scuola pubblica, non può pretendere che i compagni siano tutti calmi o di famiglie altolocate – conclude Manuela Maccarrone – Questa è una storia di classismo ed esclusione sociale».
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