Rubrica/Il cucchiaio nelle oreccchie-Mi sono fracassato i gioielli di famiglia

Io ho una perversione. Non riesco più a sopportare la parola c….. Se usato come invettiva naturalmente, non come scorretta identificazione anatomica. Io credo che le parole uno se le deve guadagnare, non trovarle gratis al supermercato. C’ho messo un po’ per capire: solo un momento di buio poi è arrivato il sole. Il lettore di Vanity Fair, Marco Bardazzi, inaugura questa eloquente metafora per evitare di citare letteralmente i suoi attributi: “Ho 37 anni, sono sposato da 10, ho un lavoro che mi occupa gran parte del tempo, una lista poliedrica di interessi, e mi sono fracassato i gioielli di famiglia a leggere queste superate inesattezze”. Il riferimento è all’ennesimo articolo sull’inettitudine del maschio italiano ma questo esula dall’oggetto del presente cucchiaio. Nel primo libro scritto a 4 mani con Gaetano Testa alla fine degli anni ottanta, una parodia del romanzo porno hanno scritto, ci siamo impegnati a rinominare tricorfa e pitrichigno nei modi più svariati, creando neologismi e senza mai ripeterli. Questo avveniva naturalmente, ci divertiva perché ci distingueva dal linguaggio coatto che, da bevitori mattinieri di stravecchio, gustavamo nelle oramai defunte taverne palermitane. Poco dopo, fui sorpreso dalla reazione di un mio coetaneo con cui in quel momento condividevo quasi tutto: no, bestemmie in questa casa no, o non bestemmi o esci. Riascoltando in testa la mia bestemmia mi aveva fatto orrore la povertà linguistica, non la volgarità o la sua giustificazione biblica. Insomma questo c….. sbuccellato pure in panetteria, a me sembra peggio di una bestemmia, si intercala tra sms e capitani di fregata, tra bambini-ma-lo-posso-dire-mamma e poliziotti della stradale, tra scrittori di pessima generazione e badandi rumene. Se fosse ufficialmente, forzatamente, sanguinosamente bandito non potrebbe diventare una campagna, un esercizio spirituale in favore della pasqua e della ricreazione linguetica?

Francesco Gambaro

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