Rostagno, 2mila km per seguire il processo La pista mafiosa legata ad una perizia

Sono passati due anni e quattro mesi da quando è iniziato a Trapani il processo per l’omicidio del giornalista e sociologo Mauro Rostagno, ucciso il 26 settembre del 1988 a Lenzi di Valderice. La prima udienza si è celebrata il 2 febbraio del 2011, a un pelo dalla prescrizione definitiva. Oggi a seguire il procedimento, che vede imputati i mafiosi Vito Mazzara, accusato di essere uno dei killer, e Vincenzo Virga, capomafia della zona, sono solo tre giornalisti: Rino Giacolone, Marco Rizzo e Federica Tourn. I primi due siciliani, di Trapani. La terza, 42 anni, freelance di Torino, che appena può, prende un aereo e scende nell’Isola, anche se quasi nessun giornale riesce a trovare spazio per i suoi articoli sul processo. «Ma prima o poi si arriverà ad una sentenza e più cose si sanno meglio è», sottolinea Tourn. «E’ una storia che mi sta a cuore, ma non so spiegare esattamente perché – continua – Rostagno è un personaggio particolare per chi fa il mesterie del giornalista. La sua vicenda mi appassione da quando avevo 20 anni. Circa un anno e mezzo fa, ho intervistato la figlia Maddalena a Torino, è stato un incontro forte e da quel momento quando posso vengo a seguire le udienze. Niente di eccezionale – minimizza – faccio quello che fanno tanti freelance».

La prossima, il 17 luglio, l’ultima prima della pausa estiva, sarà la numero 55. «Non credo che si arriverà ad una sentenza prima della fine del 2013», ammette la cronista. Per anni le indagini sulla morte di Rostagno hanno subito depistaggi: la Procura e i carabinieri di Trapani hanno seguito piste lontane, legate alla comunità Saman e a Lotta Continua. «Mentre quella giusta che portava a Cosa Nostra, che nei giorni immediatamente successivi all’omicidio la polizia aveva cominciato a sondare, fu messa subito da parte», ricorda Tourn. Solo quando le indagini sono passate sotto la direzione distrettuale antimafia di Palermo, le cose sono cambiate. Ed è per merito della squadra mobile di Trapani, allora guidata da Giuseppe Linares, oggi capo della divisione anticrimine, che il processo fu riaperto. Grazie in particolare alla prova balistica che indicava nei proiettili usati per uccidere Rostagno una forte somiglianza con quelli ritrovati nelle scene di altri delitti della mafia trapanese, in cui è coinvolto l’imputato Vito Mazzara.

«Dopo aver sentito tutti i testi, il tribunale ha chiesto una perizia su questa prova determinante – spiega Tourn – ma il risultato è stato un sostanziale pareggio: i periti non hanno escluso che i proiettili abbiano la stessa origine, ma non lo hanno neanche affermato con certezza. A questo è seguita una controperizia chiesta dalla famiglia, parte civile, che ha invece avvalorato la tesi della squadra mobile, dimostrando inoltre che quei proiettili non sono stati comprati, ma provengono dalla criminalità organizzata». Ad allungare i tempi ha contribuito anche l’elevato numero di testi chiamati a deporre dai legali degli imputati. «L’obiettivo è fare confusione, mischiare le carte, arrivare alla conclusione che ci sono troppi elementi, troppe piste, per individuare con certezza solo quella mafiosa», sottolinea la giornalista torinese. Ma alcuni membri della comunità Saman, sentiti già 25 anni fa, hanno lasciato intendere che le loro vecchie testimonianze, che avevano contribuito a sviare le indagini, erano state un po’ guidate, frutto di pressioni esterne.

La strada per arrivare ad una verità giudiziaria è ancora lunga e tortuosa. Resta l’insegnamento di Mauro Rostagno, diventato giornalista quasi per caso, una volta giunto a Trapani. «In due anni, dal 1986 al 1988, fece quello che tanti cronisti non riescono a fare in una vita – sottolinea Tourn – ha svolto un lavoro di indagine unico, con lucidità e precisione, sui rapporti tra mafia e massoneria. Aveva intuito prima di tutti che il vertice di Cosa Nostra trapanese era cambiato. Ma soprattutto, sapeva trasformare questi fatti in notizie accessibili a tutti, con parole semplici. Perché, come ogni vero giornalista, non lavorarava per i suoi editori, ma per la gente che aveva imparato a guardarlo ed ascoltarlo».

[Foto del gruppo Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno]

Salvo Catalano

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