«Matteo Messina Denaro gli ha fatto da padre». Il riconoscimento del presunto impegno del boss di Castelvetrano nei confronti dei fratelli Rosario, Giovanni e Massimiliano Firenze viene captato dagli investigatori nel 2010. A parlare sono due uomini. Sottolineano come il superlatitante si fosse impegnato dopo che, a metà anni Ottanta, il capofamiglia Vincenzo era deceduto. Un legame quello tra i Firenze e i Messina Denaro che si sarebbe prolungato nei decenni, specialmente da parte di Rosario Firenze. Il 48enne, insieme al fratello Giovanni, è stato destinatario di un sequestro di beni per un valore di 800mila euro.
Il provvedimento, seguito agli accertamenti degli uomini del Nucleo economico-finanziario della guardia di finanza di Trapani, si va ad aggiungere a quello riguardante le società di famiglia – la Vincenzo Firenze srl e la F.G. srls – su cui il tribunale di Palermo ha apposto i sigilli già a fine 2016, in seguito all’inchiesta Ebano, riguardante le modalità con cui Rosario Firenze aveva messo le mani su una serie di appalti a Castelvetrano, con la benedizione di Patrizia Messina Denaro, sorella del boss e legata a Firenze da rapporti di amicizia personale. Affari che avrebbero beneficiato, dunque, non solo degli accordi sottobanco realizzati dall’imprenditore con i titolari delle altre società, in modo da stabilire le percentuali di ribasso da proporre al Comune e i futuri subappalti, ma anche dell’essere riconosciuti dentro e fuori gli uffici come l’impresa vicina alla potente famiglia mafiosa.
Per quei fatti nei mesi scorsi Rosario Firenze è stato condannato in primo grado, con rito abbreviato, a undici anni. Il gup lo ha ritenuto colpevole di associazione mafiosa. Mentre per i fratelli Giovanni e Massimiliano, che rispondevano di intestazione fittizia, le pene sono state di due anni e sei mesi e due anni. Adesso è arrivato anche il provvedimento di sequestro preventivo dei beni, legato al concreto sospetto che gli stessi siano stati messi a disposizione e al contempo siano frutto dei legami con Messina Denaro.
Ad avvalorare questa tesi, oltre alle intercettazioni in cui Rosario Firenze, parlando con i fratelli, sottolineava i benefici di tali rapporti pur senza mai nominare Messina Denaro – «tu questi lavori li avresti potuti fare (da solo, ndr)?» – ci sono i verbali del pentito Lorenzo Cimarosa. Cugino acquisito del boss, Cimarosa ai magistrati raccontò che Firenze avrebbe preso il posto del cognato Giovanni Filardo, come referente imprenditoriale dei Messina Denaro. «A Castelvetrano c’è Rosario Firenze – disse Cimarosa nel 2013, quattro anni prima di morire -. Si occupava di Patrizia Messina Denaro, che è compare». Nella ricostruzione di Cimarosa, la decisione di puntare su Firenze sarebbe nata da una parte dal sospetto che Filardo potesse essere diventato un confidente delle forze dell’ordine ma anche dal fatto che Firenze aveva degli agganci all’interno degli uffici comunali di Castelvetrano. «Gestisce i lavori che dicono loro, si infilano sempre perché già sanno l’impresa che ha preso il lavoro e sanno come parlarci – spiega Cimarosa tra febbraio e aprile 2014 -. Lui gli dice (all’impresa aggiudicataria di un appalto, ndr): “Il cemento lo butto io, la carpenteria se la fa questo, la muratura se la fa questo“». E poi ancora: «Posso garantire che dentro il Comune, una cosa pubblica lui la sa pure prima che esce».
Nella primavera del 2013, Rosario Firenze, ricevuta notizia del rifiuto da parte della prefettura di Trapani di rilasciare la certificazione antimafia per via dei rapporti con Vincenzo Panicola (già arrestato per mafia), decide di spostare le quote sociali delle imprese ai fratelli e alla madre. Un’operazione che per gli inquirenti avrebbe avuto il solo obiettivo di ridurre il rischio di misure di prevenzione nei propri confronti. Ma che a conti fatti non è servito a nulla: il sequestro alla fine è arrivato e ha interessato, oltre che le società, anche beni immobili e conti correnti dei Firenze.
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