Il palco è piccolo e dorato, sormontato da un grande fregio con la dea della caccia Diana. E sul palco sta l’attrice catanese Giovanna Criscuolo nei panni di Rosa Balistreri. Un monologo teatrale, Notte senza sonno, che racconta la tormentata vita della mitica cantante di Licata, descritta con tratti accesi di sicilianità, dal look alle movenze, ma che parla in italiano. Folk, come il genere di musica popolare che l’ha resa celebre nel mondo. «Abbiamo scelto l’italiano per poter rendere lo spettacolo fruibile anche fuori dalla Sicilia, anche se Rosa parlava sempre in dialetto», ci conferma Giovanna al termine, tra i libri della libreria Mondadori di via Umberto. Una volta era il cinema Diana, il primo multisala di Catania, e oggi un potenziale nuovo spazio cittadino per eventi culturali. La prima rappresentazione, sia per il Diana che per lo spettacolo, fino ad oggi eseguito «solo a Licata e a Palermo per piccoli gruppi, ma che presto girerà per la Sicilia», come ci conferma Salvo Rinaudo, uno dei due autori insieme a Marco Alessi, per il quale oggi «la prima con il pubblico è andata bene, nonostante i problemi tecnici».
La vita da artista di Rosa Balistreri è però un pretesto per lo svolgersi dell’azione. Dietro le quinte di Sanremo, nel 1973, Rosa è in attesa di cantare il suo brano Terra che non senti, che poi verrà squalificato in quanto non inedito. Nell’attesa, ripercorre una vita difficile caratterizzata dalla voglia di riscatto sociale che la porterà a mettersi spesso nei guai, in mezzo alle sfortune. Dal padre violento fino al matrimonio in tenera età ad appena 16 anni, finito con sei mesi di carcere per aver accoltellato il marito ubriacone e violento, prosegue la sua vita a Palermo dove tenta la carriera di cantante ma resta incinta di un nobile che rifiuterà il bambino, poi nato morto. Da Palermo a Firenze, raggiunta rubando i soldi a un prete palermitano non avvezzo alla pratica del celibato.
L’arrivo a Firenze è forse la parte migliore della performance: vediamo Rosa attraversare l’Italia su un treno, con autoironia verso la propria sorte di cantante mancata e di moglie sfortunata. A Firenze è un’altra vita, serena: apre una bancarella di frutta e verdura, porta con sé la famiglia e la sorella che scappa dal marito, il quale, sentitosi tradito la raggiunge e la uccide. Dopo questo il padre «nell’unico atto di coraggio della sua vita,» racconta Rosa dal palco, si suicida. Si intonano le note di Notte senza sonno, all’apice drammatico del monologo e della vita di Rosa, che sprofonda nel buio. Buio che presto sparisce, grazie a un pittore, Manfredi, di cui si innamora. Lui la introdurrà negli ambienti culturali, presentandole Dario Fò che la ingaggia per uno spettacolo. Raggiunge la fama, perde Manfredi che va via con un’altra, ma ormai Rosa Balistreri è una cantante famosa. Che non si cura dell’insuccesso di Sanremo, va in giro per le feste dell’Unità in tutta Italia. «Sempre in mezzo alla gente, non cantavo per tutti cantavo per ognuno». Si chiude in canto «Maledetta terra ca nun senti».
La performance è sentita, l’attrice coinvolge il numeroso pubblico, più di un centinaio di persone sedute tra le pile di libri o in piedi a bordo dei palchi. Brava, soprattutto a non farsi sopraffare da alcuni limiti tecnici: il palco è piccolo, l’illuminazione di scena è fissa, e il microfono, dal quale accenna i brani storici della Balistreri, funziona a singhiozzo, mortificando le brevi performance canore che intervallano il testo, accompagnate al basso elettrico suonato da Massimo Provenzano. Limiti tecnici confermati da Marco Alessi, che è anche il regista: «Oltre ai problemi al microfono, lo spettacolo è stato ridotto perché dovrebbe essere eseguito su un palco più grande, per dare una maggiore profondità all’azione. Rosa nelle nostre intenzioni deve muoversi come una pop star in un concerto». Lui, come Salvo Rinaudo, è comunque contento per l’impatto sul pubblico. «Volevamo comunicare la storia di Rosa Balistreri, la sua vita personale prima che come artista», conferma Rinaudo.
Tra il pubblico anche uno dei maestri del teatro catanese, Gilberto Idonea, che fa i complimenti agli autori ma non risparmia una critica «una volta che il microfono non funzionava andava staccato. Del resto il teatro si è sempre fatto senza amplificazione e qui tutto sommato c’è una buona acustica». Tutto sommato, ovvero nonostante i libri, che rendono l’ambiente inaspettatamente ovattato. Sull’uso del teatro Diana per altre rappresentazioni il responsabile della libreria Fonzie Brancato commenta «lo spazio è a disposizione di tutta la città di Catania, e cercheremo di farlo tornare un punto di riferimento». Spazio libero, dal teatro fino al cabaret, basta proporsi sulla pagina facebook con dei progetti validi. E di spazi liberi parla anche Marco Alessi, il regista palermitano, che dà la sua solidarietà al teatro Coppola occupato. «Sono assolutamente a favore di iniziative del genere commenta Marco – e ho il massimo rispetto nei confronti di persone che riescono a fare cultura anche in queste condizioni».
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