Ronaldo alla Juve e gli ex operai di Termini in cassa integrazione «La nostra Champions dovrà essere il lavoro che ci è stato tolto»

Ci vogliono 3.125 ex operai Fiat di Termini Imerese in cassa integrazione, a 800 euro al mese, per raggiungere lo stipendio di 30 giorni di Cristiano Ronaldo alla Juventus. La sola proporzione, in sé, dice già molto dello squilibrio che esiste tra una superstar del calcio e gli anonimi lavoratori che da sette anni attendono la riconversione industriale dell’ex stabilimento palermitano. Ma non racconta neanche tutto. Non dice ad esempio del calvario di incontri al Mise dove puntualmente ogni volta si promettono svolte che non arrivano mai, non dice della difficoltà ad arrivare a fine mese, non dice dell’assenza di prospettive per intere fasce sociali e generazionali del territorio.

L’acquisto del campione portoghese, 100 milioni di euro al Real Madrid e 30 milioni all’anno per il giocatore, ha fatto discutere moltissimo in tutta Italia. Specie a Termini Imerese. «Io da simpatizzante della Juve ed ex dipendente della Fiat posso dire che sono veramente deluso – dice Piero Scaletta – La Fiat ci ha abbandonati e umiliati chiudendoci lo stabilimento. Oggi assistiamo ad un’ingiustizia da parte della stessa azienda. Con questi soldi avrebbe potuto rimettere in moto questo polmone produttivo e dare vita a questa comunità, noi ce lo meritavamo». 

Fiat vuol dire ancora Juventus, almeno nella percezione pubblica, nonostante le due società subentrate siano distinte e separate. A legare la storia dei due marchi resta, in ogni caso, la presenza della famiglia Agnelli. Basti citare l’Avvocato, cioè Giovanni Agnelli, al timone della Fiat per decenni e contemporaneamente presidente onorario della Vecchia Signora. D’altra parte il club juventino, come FCA, appartiene alla stessa società d’investimento, cioè la Exor. Ed è notizia di ieri che la sezione dell’Unione Sindacale di Base dello stabilimento automobilistico di FCA a Melfi, in provincia di Potenza, ha indetto due giorni di sciopero contro l’acquisto di Ronaldo da parte della Juve. Lo sciopero è in programma dalle 22 di domenica 15 alle 6 di martedì 17 luglio.

«Se ci mettiamo dal punto di vista dei lavoratori che da anni hanno subito e continuano a subire le politiche della Fiat, come l’abbandono da Termini, è chiaro che avvenimenti del genere non aiutano a rimarginare le ferite» dice Roberto Mastrosimone, segretario regionale della Fiom Cgil. «Siamo stati gli unici a essere messi all’angolo, e la scelta dell’azienda ha messo in ginocchio un’intera comunità. Le cifre astronomiche colpiscono moltissimo, così come la sproporzione notevole tra i soldi che girano nel mondo del calcio e quelli della vita di ogni giorno di ciascuno di noi. Ciò aggrava il sentimento degli ex lavoratori: molti di loro sono allo stesso tempo tifosi juventini, direi che su dieci in otto lo sono, e questo genera un contrasto fortissimo». 

Se Ronaldo alla Juve è l’argomento principale di questi giorni, non solo a livello sportivo, è facile immaginare come possa essere inflazionato nei bar della città. Soprattutto, viene da pensare, tra gli ex operai rimasti fuori dal ciclo produttivo. È davvero così? «Ma tra colleghi cosa dobbiamo raccontarci in più?» dice amareggiato Scaletta. «Tutti i giorni viviamo con la speranza che la Fiat e il governo possano veramente mettere fine a questa storia che si prolunga da ben sette anni. Siamo stanchi di false promesse, il governo deve rimettere al tavolo la Fiat e far si che rispetti l’impegno preso nel 2014 . Ancora oggi aspettiamo risposte che non arrivano. Sogno ogni notte di ritornare al mio posto di lavoro, non sogno proprio di vincere nessuna coppa. La nostra Champions dovrà essere il lavoro che ci è stato tolto». 

Per Mastrosimone «al di là della domenica o della possibile vittoria calcistica in Europa i problemi restano, e sono quelli creati dallo stesso titolare che ti ha mandato per strada». Il tema, insomma, al di là della singola vicenda è più ampio. «È chiaro che riguarda più in generale la società nella quale viviamo – osserva ancora il sindacalista – Se il mercato decide tutto nella vita allora noi dobbiamo fare i conti con questa cosa. Il mercato non ha cuore, a lasciare fare solo al mercato si creano questi mostri, queste disparità enormi che sono aberranti».

Andrea Turco

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