Rodrigo García a Torino

Giusto per dare conferma dell’accusa di provincialismo, piovutami addosso da parte di un bello spirito, me ne vado a Torino a vedere l’ultima creazione di Rodrigo Garcia, Aproximacion a la idea de desconfianza, ennesimo spettacolo importante in un festival che quest’anno ha, a mio parere, il miglior parterre di rappresentazioni in circolazione. Merito al suo direttore, Sergio Ariotti.

M’aspettavo uno spettacolo di Garcia estremo, così come è nel suo dna, e senza dubbio non immaginavo che avrei trovato tracce di Catania in quel di Torino.
Aproximacion è uno spettacolo in fieri, in cui si intravede in nuce il germe d’un futuro sviluppo, che ha in sè cose molto belle, ma che non può ancora essere giudicato completo.
E’ uno spettacolo senza testo recitato: gli attori, macchine performative capaci di sperimentare sul proprio corpo ogni forma di reazione ed azione estetica, non parlano quasi mai, eccezion fatta per un piccolo brano recitato alla fine da uno dei due uomini (sono in tutto tre gli attori, due uomini e una donna, intensa, lei, e straordinaria).

Così raccontare questo spettacolo diventa un impresa improba, al limite del possibile. provo a dire che ciò che ho percepito è la messa in scena del dolore dell’uomo, il suo assimilarsi all’animale domestico, pieno di limiti e confini, in una scena quasi spoglia, in cui gli attori abbracciano delle galline vive – non viene loro fatto nessun maltrattamento, tengo a precisarlo -, si ritrovano a terra, corpi morti dentro un confine segnato dal latte rovesciato da due servi di scena, piantano un finto giardino ripercorrendo al contrario una sorta di catena alimentare che dalla verdura già pronta in foglie per essere mangiata si torna indietro fino a farne la piante in un orto posticcio. Il testo lo si legge in proiezione, mentre sullo schermo scorrono le immagini di una soggettiva: una mini camera legata ad una testuggine ci racconta cosa vede la testuggine. Testi bellissimi, specie quello sui tatuaggi: gli uomini che fanno tatuaggi, dice più o meno, scelgono da un catalogo delle ferite e le copiano sul proprio corpo. il tatuaggio è come una cicatrice, ma l’uomo dimentica le proprie ferite, non le racconta più, non le vive più, preferisce ricorrere ad una catalogo per disegnare la propria vita, la propria pelle.
E’ uno spettacolo dalla parte della natura, forse contro l’uomo o contro il superfluo tecnologico. E’ uno spettacolo allo stesso tempo già visto e nuovo: rimanda immediatamente a quel capolavoro di Garcia che si intitola Compré una pala en Ikea par cavar mi tumba che già dal titolo si presenta come magnifico; ma allo stesso tempo si avverte il germe di un cambiamento, come se un cero percorso fatto dall’artista argentino fosse concluso.

Durante l’incontro col pubblico del giorno dopo ritorna sulle novità formali del testo, Garcia, ammettendo come l’assenza di testo recitato sia il lume di una ricerca che vuole portare il suo teatro a costringere il pubblico a leggere. Messinscena bella e complicata, a tratti noiosa, a tratti esplosiva. Ma è solo una tappa, quella che ho visto, di un percorso in progress dello spettacolo: sarebbe bello vederlo completo a Catania, ma non credo succederà mai ( ma a volte mi sbaglio ).

Certo che una serata come quella dell’Astra a Torino, piena di gente e di teatro, con artisti critici e drammaturghi presenti da tutta Italia ti fa sentire bene ed orgoglioso, perché ti fa sentire come il teatro sia ancora vivo e con delle cose da dire, ed orgoglioso perché ci sei tu, poi ti ricordi che non sei a Catania – non c’era nessun catanese oltre me e forse qualcuno avrebbe dovuto esserci – ma a torino e apri la pagina di un giornale e ti rendi conto che il teatro è pieno non perché non c’è nulla da fare in città, anzi, la città è piena di eventi, eppure anche il teatro è pieno, e siamo a luglio in un luogo al chiuso mentre fuori il caldo schiatta…

Ma siamo a Torino… e io..ohibò, io vengo da Catania che sembra essere un luogo beckettiano, ‘ non arriva nessuno, non succede nulla…
Uno spettacolo che viene dopo la proibizione a rappresentare Accidens a Catania, e Catania diventa, nell’incontro con il pubblico uno degli elementi da cui parte la riflessione di Garcia.

Citazione:

Di quanto è successo a catania – scrive garcia sul giornale del Festival – quello che attira maggiormente l’attenzione è la volonta e la capacità di vigilare e castigare senza uscire di casa, servendosi dei pettegolezzi della stampa sensazionalistica..

conclude poi

Citazione:

Così se ne andò il pubblico quella notte, e io li vidi uscire dalla sala come tanti astici con scarpe e cappotti.

Accidens, è uno spettacolo che racconta della tortura e lo fa mettendo in scena la morte di un astice, come succede ogni giorno, per migliaia di volte, in tutti i ristoranti del mondo.
E così, nostro malgrado, Catania è assorta alle cronache dello spettacolo nazionale. Non facciamo spettacoli a Cataina ma siamo dentro lo spettacolo.
Che triste consolazione.

Salvo Gennuso

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