Roberto Alajmo’s amarcord: Il primo amore non si scorda mai, anche volendo

Non sono pochi i grandi scrittori che hanno iniziato la propria carriera attingendo a piene mani nei ricordi d’infanzia e d’adolescenza.  Non stupisce, quindi, che Roberto Alajmo, scrittore palermitano molto apprezzato in Italia e all’estero, approdi a questo tema con un’opera interamente dedicata. Lo fa con un gustoso e breve libro dal titolo “Il primo amore non si scorda mai, anche volendo”, dove rivisita il proprio passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Come per gli altri suoi, la scrittura è godibile, cinica, ironica e allo stesso tempo densa e raffinata.

Nella divertente presentazione di ieri sera all’Auditorium della RAI di Palermo, ammette d’aver raccontato storie di persone “tutte reali e di fatti realmente accaduti” anche se  “ho barato un poco, aggiungendo qualcosa di fantasia, il materiale è vero, ma a volte è stato impastato”. Ammette anche d’aver scritto questo libro per suo figlio Arturo, “al fine di mantenere ricordi che altrimenti si potrebbero perdere” e aggiunge, scherzando su se stesso, “perché temo d’avere sintomi dell’Alzheimer e quindi è meglio scrivere nero su bianco, prima che la memoria si perda…”.  In effetti, si evince che almeno alcuni episodi del libro sono stati raccontati più volte agli amici, quali aneddoti o “barzellette reali”, tra un caffè e l’altro o tra un bicchiere di vino e un paio d’olive. Non a caso, ieri a presentare con lui c’era il collega e complice Mario Azzolini.

E infatti, tra il serio e il faceto Roberto Alajmo e Mario Azzolini hanno intrattenuto il pubblico come si fa in una serata tra amici: ridendo e scherzando su ricordi e storielle a volte imbarazzanti della propria adolescenza. Sullo sfondo le pubblicità televisive del “Carosello” anni ’60 e ’70 hanno evocato a tutti i quarantenni-e-più presenti in sala il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza, con tutta la serie di oggetti, persone, “mondi” del passato che hanno condito e contribuito a formare l’infanzia di ognuno. “Sono quelli gli anni che realmente formano le persone: quei “traumi” da ragazzini che sono anche la grande risorsa di ogni scrittore”, continua un Alajmo, ieri particolarmente gioviale e soddisfatto.

Ci si accorge presto che quello evocato ieri sera è un mondo molto diverso da quello attuale: non c’erano né telefonini, né computer, i maestri davano scappellotti e bacchettavano le mani, ci si doveva sottomettere ai genitori anche per la tortura dell’estrazione delle tonsille e si approdava all’adolescenza con la “dichiarazione” alla ragazzina ambita o con la complicità del “lento” alla festa in casa d’amici, sempre presente dopo la serie di “ballabili” pop o rock.

E’ lo stesso mondo evocato da “Il primo amore non si scorda mai, anche volendo”, dove capitoli sui propri ricordi in rigoroso crescere cronologico, di pari passo alla crescita da bambino a adolescente, sono inframezzati con gli stuzzicanti “repertori Alajmeschi” (possiamo dirlo?) di oggetti, giochi, pubblicità, fatti e personaggi del calcio, soprattutto dedicati al Palermo anziché all’Inter del quale Alajmo è tifoso dichiarato.

Così inverni, primavere, estati e autunni sono ripercorsi con maggiore intensità ironica, accattivando sempre più il lettore, sia esso coetaneo o meno dello scrittore, che non può far a meno di riscoprire e confrontare la propria esperienza d’infanzia e prima adolescenza o scoprire per la prima volta quella della generazione del proprio padre o del proprio figlio.

Come in altre opere di Alajmo, lo scrivente si dichiara schiettamente fin dall’inizio: è una visione parziale, soggettiva, della realtà, e cioè quella di un ragazzino non ricco ma relativamente agiato, che vive nella parte borghese della città di Palermo, e che dunque ha un proprio repertorio di vissuto simile a una parte dei ragazzini palermitani di allora, ma non tutta. Così lo ZEN è un quartiere visitato quasi per caso dall’esterno, le gite della settimana bianca sono organizzate con la famiglia e con un minimo d’attrezzatura  per sciare, le vacanze con i genitori ci sono sempre e in albergo, le giornate in spiaggia sono quelle della Mondello borghese di quegli anni e la spensieratezza è quella di un’infanzia e un’adolescenza comunque felice e non segnata dalla vera vita strada, e spesso anche di lavoro, di tanti altri coetanei i cui genitori dovevano lottare per la vita ogni giorno in quegli anni come oggi.

Da leggere, o come si dice in questi casi, da non perdere. Soprattutto per le nuove generazioni che possono così intuire che chi stava bene da bambino e ragazzino nella Palermo di quegli anni stava bene anche senza cellulari, internet e computer ma con il gioco “del crescere” e fatti di vita vissuta più semplici e forse anche per questo più validi e fertili di quelli di oggi. Forse. E se anche non fosse così, è una testimonianza della propria infanzia sicuramente da ripercorrere, per capirsi, per sondare un passato affascinante e non meno complesso di quello della generazione-Pokemon o della generazione-Winx degli anni ’90 e 2000.

Insomma, è un amarcord soggettivo, ma è anche un amarcord a tutto tondo, anzi “d’immersione”. E senza dubbio piacevole.., almeno  fin quando esisteranno i libri.

Gabriele Bonafede

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