Mettiamo subito sull’altro piatto della bilancia il fatto che abbiamo vinto contro una squadra, la Pro Vercelli, che fuori casa è tra le più scarse del campionato. Non intendo scarsa come la nostra, che sarebbe impossibile, ma diciamo che poco ci manca. Cerchiamo poi di tenere bassa la temperatura del tifo, che in una serata come questa avrebbe voglia di schizzare verso picchi di ottimismo del tutto ingiustificati; e dunque ripetiamoci chiaramente che l’obiettivo del Catania di quest’anno è prima salvarsi, poi non retrocedere, e infine provare a restare in serie B, sempre se il dio del calcio lo vorrà. Calibriamo, ancora, il sorriso di stasera – ne abbiamo fatti quattro ai nostri avversari, e in più non abbiamo preso nemmeno un gol – portando il tempo indietro di qualche giorno appena; e ricordandoci di come siamo usciti ammaccati dal campo del Lanciano, alla prima uscita dell’anno nuovo. E insomma, non tralasciamo nessuno dei necessari accorgimenti per non precipitare nel vuoto dell’illusione. Che sarebbe un errore che, quest’anno, s’è già commesso in più di un’occasione.
Ma, fatto questo, mettiamo pure qualcosa sull’altro piatto della bilancia, quello buono. Io, stasera, ci metto tre parole. Sperando che il futuro non ce le faccia volar via, che la realtà non le ridicolizzi con il suo peso. La prima parola è velocità. A me piacerebbe che si potesse mettere un contachilometri ai nostri giocatori, e misurare in questi termini la differenza tra gli intraprendenti ragazzotti di seconda serie, molti dei quali italiani, messi in campo stasera da Dario Marcolin, e i sussiegosi senatori latinoamericani che fino a due settimane fa passeggiavano sul prato indossando la maglia con i nostri colori. Oggi ho visto, dopo tanto tempo, qualcuno – sto parlando del nuovo acquisto Mazzotta – correre senza risparmio sulla corsia sinistra; e qualcun altro – l’altro esordiente Sciaudone – infilarsi a tempo tra i tentennamenti della difesa avversaria, per strappare il rigore che ci ha permesso di segnare il nostro secondo gol. Ed era veramente ora che qualche giocatore (oltre al buon Rosina, e a pochi, ma proprio pochissimi della vecchia guardia) ci ricordasse che, senza mangiare il campo agli avversari, in serie B si può perdere contro chiunque. Che poi è quello che finora abbiamo fatto noi.
La seconda parola potrebbe essere golosità. Quella ricerca di soddisfazione del proprio gusto che l’etica può anche annoverare tra i peccati, ma che nel calcio resta invece una virtù. Non è infatti la prima volta che vediamo la nostra squadra andare in vantaggio, specialmente al Massimino. Ma è una delle primissime volte che non la vediamo porgere subito entrambe le guance all’avversario consentendogli di correre subito ai ripari; e che invece possiamo accompagnarla nel suo slancio impietoso verso la zona d’attacco, nella sua ricerca di un altro gol e poi di un altro e un altro ancora, nel lucido, efficace sfruttamento di ogni spazio lasciato scoperto da chi deve rimontare. Se all’andata, a Vercelli, il Catania avesse praticato questo vizio, non si sarebbe fatto mettere sotto da un avversario che a lungo si era trovato con un uomo in meno. Ma se il Catania, a Vercelli, si fosse comportato così, non sarebbe stato il Catania di quest’anno: quella squadra allestita con la prosopopea di chi pretende di aver armato una corazzata inaffondabile; e che invece aveva intrapreso un viaggio destinato a finire come quello del Titanic.
La terza parola, infine, potrebbe essere saggezza. Che è quanto va riconosciuto al gruppo messo in campo oggi da Marcolin, e che è ancora in via di costruzione mentre procede la rottamazione del summenzionato Titanic. Una saggezza che non si misura solo sul dato oggettivo che non ci hanno fatto gol, che la difesa ha tratto beneficio dall’assenza di uno scialacquatore compulsivo come Sauro, e che in sostanza il nostro portiere si è guardato la partita. Ma anche sul fatto, non meno importante, che nel Catania di oggi nessuno è andato a cercarsi il cartellino rosso, per esempio falciando inutilmente un avversario dalle parti del centrocampo, o andando ad aggredire l’arbitro dopo una punizione in favore nostro. Che son cose che, fino a oggi, hanno costituito per noi la più ordinaria amministrazione.
Si dirà adesso che, in tutto ciò, non c’è proprio nulla di straordinario. Che non c’è ragione di esaltarsi troppo, tanto più che alcuni personaggi di cui fa noia ripetere ancora i nomi sono sempre al posto loro in società. Che qualità normali come quelle viste oggi sono esattamente il minimo che possiamo chiedere alla nostra squadra che affronta la serie B. Nulla di più vero. Se non fosse che, abituati come siamo a mesi di follia e di spergiuri, la normalità è qualcosa cui non siamo più avvezzi. Proprio ieri, passando dalle parti dello stadio, abbiamo potuto assistere a scene che dalle nostre parti non si vedono mai. Cumuli di ghiaccio ai lati delle strade. Ruspe al lavoro per sgomberarle. Come in un paese delle Alpi. Una cosa che non ci saremmo mai aspettati di vedere alle nostre latitudini, una cosa che ci ha stupito. Ma meno di quanto, questa sera, ci abbia stupito vedere in campo un Catania tutto sommato normale.
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