E’ dunque il destino della Sicilia essere un territorio sempre più militarizzato? Dopo l’attacco dell’Isis al cuore di Tripoli, capitale della Libia, l’isola al centro del Mediterraneo vede aumentare il livello di rischio terrorismo. Sono perciò aumentati i controlli nei confronti dei cosiddetti obiettivi sensibili. Da un mese e mezzo tre motovedette della Guardia costiera di Gela pattugliano, per 8 ore al giorno, le piattaforme petrolifere al largo del canale di Sicilia. Armati di tutto punto, gli uomini al servizio del comandante della Capitaneria di porto Pietro Carosia controllano le piattaforme Gela e Perla, mentre per la Prezioso sono coadiuvati dalla Guardia costiera di Licata e della Vega si occupa la Capitaneria di Pozzallo.
«Abbiamo ricevuto un’ordinanza antiterrorismo ed antintrusione – conferma il comandante Carosia. In ogni caso esiste già l’ordinanza che obbliga alla distanza di mezzo miglio dalle piattaforme. Per cui noi interveniamo a seconda del rischio. Oggi si chiama Isis, ieri si chiamava Al Qaeda». Con le mareggiate di questi giorni e con le pessime condizioni del porto rifugio, si fa più ostico per la guardia costiera di Gela garantire la sicurezza in mare. Come ha dimostrato l’azione pacifica di ottobre di Greenpeace contro lo Sblocca Italia, le piattaforme petrolifere sono difficilmente difendibili ma facilmente attaccabili. Per Antonio Mazzeo, giornalista impegnato nei temi della pace e dell’ambiente, c’è un ulteriore aspetto da affrontare. «Elevare le piattaforme petrolifere a obiettivi sensibili – dice – accelera i processi di militarizzazione dell’isola. Non se ne occupa la Marina militare, d’accordo, ma questo controllo è già un passo in avanti».
Da parte sua il comandante Carosia ricorda i propri trascorsi a Lampedusa e sottolinea il rischio che i terroristi Isis possano infiltrarsi nelle grandi migrazioni che dall’Africa giungono sulle coste siciliane. Un collegamento che non convince Mazzeo. «Non sono assolutamente d’accordo – afferma -. Agitando lo spauracchio islamista ed espropriando la sovranità persino sui pozzi a mare si intende in realtà criminalizzare le aree di movimento che portano avanti le istanze ambientaliste sulle trivellazioni, come i No Triv e Greenpeace».
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