«Vorrei dire alcune cose sul riscaldamento globale. Forse non sono un esperto, ma penso di esserne almeno una decente approssimazione (se avete sotto mano un esperto vero, tiratelo fuori e vediamo se mi smentisce)». Prima, durante e dopo il terzo sciopero mondiale per il clima che si è tenuto in moltissime città del mondo in tanti hanno espresso la propria opinione sul cambiamento climatico in atto nel pianeta. Pareri però non sempre richiesti e soprattutto spesso con notevoli approssimazioni e poco rigore scientifico. A provare a mettere ordine in questo caos ha provato, con un lungo post su Facebook, il professore Michele Ciofalo: ordinario di Termoidraulica e Termofluidodinamica Numerica presso il corso di laurea in Ingegneria dell’Energia all’università di Palermo, il docente originario di Termini Imerese ha innescato un copioso dibattito virtuale, grazie anche al rilancio da parte di Fridays for Future Palermo.
«Scrivo spesso le mie opinioni su Facebook – commenta il docente – Sul riscaldamento globale poi ho voluto dire la mia perché noto ancora parecchia confusione sul tema. Che, a seguire i commenti che sono scaturiti, è andare pure aumentando». La presa di posizione del docente universitario ha fatto discutere anche perché non sono molti i colleghi dell’università di Palermo che su questi temi preferiscono esporsi pubblicamente. «Nel corso di Ingegneria dell’Energia si parla di riscaldamento globale – osserva Ciofalo – per esempio si affronta il controllo ambientale a livello micro e macro. Come iniziative ultimamente l’università di Palermo non ha fatto molto, ma c’è sempre tempo. In ogni caso non si tratta tanto di parlarne, perché per fortuna il tema è sempre più dibattuto. Certo, le università possono inserirsi in modo rigoroso nella discussione generale. Ma i nostri atenei devono sviluppare e promuovere metodi, tecniche, tecnologie per la riduzione delle emissioni dei gas serra, in tutti i sensi. E tutto va problematizzato: l’auto elettrica ha senso se la fornitura elettrica viene da una fonte rinnovabile e non dalle fonti fossili».
Partendo dalla considerazione che «il riscaldamento globale è un fatto, non un’opinione», il professore termitano si scaglia anche contro i suoi colleghi. «Alcuni illustri scienziati hanno firmato negli scorsi giorni un appello che intende porre l’attenzione sul fatto che il cambiamento climatico non è una cosa seria, e ci sarebbe una limitatissima responsabilità dell’essere umano – commenta in maniera sarcastica – Dovevano essere più di 200 ma poi si è scoperto che a firmare davvero erano stati appena una trentina. A capitanarli è Antonio Zichichi, che è sfiduciato da tempo da tutti gli scienziati seri. Poi è arrivato il fisico e senatore Carlo Rubbia, che in realtà ha citato dati sbagliati: lui afferma che dal 2000 a oggi c’è stato un arresto dell’aumento di temperatura, quando in realtà tutti i dati ci dicono che la temperatura è aumentata».
Perché allora avviene questa contrapposizioni di dati, tra scienziati che dovrebbero basare il proprio lavoro sul metodo sperimentale? «Fermo restando che io non sono un climatologo – afferma il docente universitario – quel che mi preme segnalare è la certezza delle fonti, e moltissime indicano come assodato il cambiamento climatico in atto. Inoltre dal punto di vista meramente scientifico si tende sempre a prendere in considerazione l’ipotesi ragionevolmente più pessimistica, non certo quella più ottimistica. Così è avvenuto ad esempio con il nucleare. Certo, non è il caso di creare allarmismi perché altrimenti dovremmo concludere che dovremmo spegnere le energie del nostro pianeta domani mattina, ma dobbiamo comunque tutelarci».
Da tempo governi e aziende come Eni parlano di transizione energetica, ad esempio attraverso l’utilizzo del gas naturale. Un’ipotesi che però Ciofalo respinge. «Le mezze soluzioni non servono a niente – sostiene – perché già forse è troppo tardi per impedire che si raggiungano quei famosi due gradi in più fino al 2030 che sono quasi la soglia del catastrofico. Penso ad esempio all’ipotesi di uragani nel mar Mediterraneo, che in questo modo diventerebbe un rischio concreto. Siamo cioè di fronte a una minaccia seria, non è più il momento di cincischiare perché in gioco c’è la sopravvivenza della civiltà. Entro una decina di anni bisogna ridurre ai minimi termini le emissioni. Senza escluderle del tutto, perché un minimo di utilizzo di fonti fossili dovrà comunque essere garantito».
E se fosse già troppo tardi, come afferma il nuovo rapporto dell’IPCC (acronimo inglese di Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici)? «Si aprono altri scenari – continua il docente – Per esempio il sequestro dell’anidride carbonica, togliendola dall’atmosfera, o addirittura la riduzione dell’irraggiamento solare attraverso quello che viene definito l’imbiancamento delle nuvole. Io credo comunque che sia la tecnologia industriale la soluzione per uscire da questa situazione. Di fronte ai danni provocati dalle industrie, paradossalmente, è proprio da loro che può arrivare il rimedio. Le emissioni sono aumentate, c’è poco da fare. E prendersela con quella emessa dalle grandi città è fuorviante. Oppure la follia del biocarburante (come quello che utilizza Eni bruciando olio di palma a Gela, ndr): è un modello da evitare, anche perché quando l’agricoltura è in difficoltà preferisce fare da rifornimento in questo modo all’industria, che brucerà queste risorse provocando nuove emissioni».
Il professore Ciofalo invita poi a rovesciare la prospettiva eurocentrica, o comunque occidentale, anche nei confronti del riscaldamento globale. «Finora una riduzione apprezzabile delle emissioni di gas serra si è avuta in Europa e negli Stati Uniti – afferma – E in questi ultimi, se dovessero attuarsi i programmi di Trump, vedremmo presto un ritorno all’aumento. Inoltre, le emissioni della UE sono circa il 10 per cento del totale mondiale; il grosso viene da Cina, India e Sudamerica. Pertanto, mentre concordo che i paesi europei debbono essere un esempio virtuoso e continuare a ridurre le loro emissioni, deve essere chiaro che qualsiasi movimento globale o riesce a incidere sulle politiche industriali ed energetiche di paesi come Cina e India, o sarà un virtuoso ma inutile pannicello caldo».
D’altra parte l’attualità ce lo insegna: non c’è più un minuto da perdere. «I recenti incendi in Amazzonia lo hanno dimostrato – concorda Ciofalo – È come se ci avesse riportato indietro di due anni nella lotta ai cambiamenti climatici. È stata una doppia catastrofe: innanzitutto ha liberato CO2 e in secondo luogo ha eliminato gli alberi che quella CO2 assorbono. Inoltre gli alberi morti si decomporranno,e nel far ciò libereranno altra anidride carbonica».
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