Riduzione del rating, perché stupirsi?

La riduzione del rating italiano e di diversi altri Paesi europei da parte di Standard & Poor’s ha determinato una serie di reazioni indignate da parte del nostro Governo e dei principali esponenti europei, che sono giunti a ventilare che dietro questa azione si nasconda una sorta di complotto di non meglio identificate lobby.
Che dietro le società di rating ed i loro giudizi si muovano colossali interessi appare plausibile, tuttavia, volendo esaminare la situazione in maniera obiettiva, il declassamento appare del tutto logico e meritato, dal momento che le ricette proposte e portate avanti in Europa non possono che accentuare la crisi piuttosto che risolverla.
Fermandoci all’Italia, le recenti misure hanno determinato un aumento incontrollato dei prezzi, uno per tutti quello della benzina, aumentato le imposte dei cittadini, bloccati gli aumenti salariali – quindi di fatto riducendone il potere d’acquisto di almeno il 3 per cento l’anno, tanto credo debba essere stimata l’inflazione reale – ridotto le pensioni, bloccato le assunzioni e aumentato l’età pensionabile, creando delle Amministrazioni pubbliche gestite da anziani demotivati ed impedendo ai giovani la possibilità di accedere al lavoro, alla faccia dell’occupazione e dell’efficienza tanto sbandierata.
Un esempio ne è la Regione siciliana, dove i “Giovani” dipendenti, salvo rare eccezioni, hanno almeno cinquanta anni. Non ci vuol molto a capire, anche senza bisogno di essere un affermato economista, che la riduzione dei redditi, il blocco delle assunzioni, l’aumento dei prezzi e delle imposte determinano un crollo dei consumi, cui segue la riduzione dei dipendenti e/o la chiusura di attività commerciali e imprese, con un ulteriore aumento della disoccupazione, riduzione dei consumi e ulteriore crollo del sistema, in una spirale che, se non arrestata immediatamente, porterà al definitivo collasso del Paese.
Si continua a parlare di misure per lo sviluppo, ma non si comprende quali esse siano: certamente, non saranno le liberalizzazioni dei taxi, delle farmacie, dei notai, ecc. che potranno forse creare una manciata di posti di lavoro, che risolveranno i problemi italiani.
Se le misure per lo sviluppo consistono, poi, nell’abolizione dell’articolo 18, mettendo così i lavoratori all’assoluta mercé dei datori di lavoro, che potranno chiedere loro qualsiasi prestazione lecita o illecita, comprese quelle sessuali o di ore lavorative in nero e non retribuite, dietro minaccia di licenziamento, in un contesto in cui il rischio è di restare disoccupati a vita, o la già attuata riduzione dell’IRPEG (Imposta sui Redditi delle Persone Giuridiche), cioè le imprese, ovviamente finanziata con l’aumento dell’IRPEF, ritengo sia meglio non attuarle, dato che sarebbero soltanto dannose.
Non si comprende perché un’impresa in piena recessione, con la sua domanda in caduta libera, dovrebbe assumere lavoratori che non servono e che costituisco sempre un costo, anche se sono licenziabili e nonostante gli si sia stata regalata parte dell’IRPEG, o perché, qualora vi fosse un aumento della domanda dei suoi prodotti, non dovrebbe assumerli anche senza incentivi, dato che comunque permetterebbero di aumentare i guadagni.
La verità è che dell’esistenza della crisi economica nessuno si era accorto fino a quando non è stata annunciata e sono state poste in essere le misure per farvi fronte. L’impressione è che sono proprio le misure anti crisi che determinano una crisi che non c’era o comunque non era così grave, come un vaccino anti influenzale che dovrebbe proteggere ed invece fa venire l’influenza.
L’unica iniziativa che va nella giusta direzione e che può dare un grosso contributo alla soluzione della crisi è una seria lotta all’evasione fiscale, ma al di là delle recenti iniziative, certamente valide ma che da sole non potranno che avere risultati effimeri, è necessaria una riforma dell’intero sistema di accertamento e repressione della frode fiscale, che richiede tempo per essere messo a punto e andare a regime, sempre che si riescano a superare le resistenze di lobby numerose e potenti che faranno di tutto per rendere soltanto di facciata la riforma o almeno ritardarla il più a lungo possibile.
A questo punto, non si comprende perché si grida allo scandalo se le agenzie di rating ci declassano, dal momento che,
salvo cambiamenti di rotta, non si vede alcuno spiraglio di luce e le ricette europee – a cui quelle italiane ciecamente e follemente si adeguano – suggerite da Germania e Francia, che si guardano bene dal seguirle, dietro il pretesto che la loro situazione è soddisfacente, salvo ad accorgersi che anche Parigi non naviga in buone acque, non solo sembrano inefficaci, ma pure dannose e che se anche dovessero salvare l’euro (e non è così sicuro), annienteranno i cittadini.

 

Giuseppe Anzaldi

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