Ricordo di padre Ferlauto, creatore dell’Oasi di Troina Dai disabili mentali a Lourdes alla donazione del papa

«Un’opera dal volto umano, ma anche dal respiro divino». Così padre Luigi Ferlauto, il sacerdote troinese scomparso ieri all’età di 95 anni, amava definire l’Oasi Maria Santissima, l’istituto di ricovero e cura, a carattere scientifico, per il ritardo mentale e l’involuzione cerebrale senile, che ha pensato, voluto e fondato nel 1953. Oltre 60 anni dedicati alla cura e al sostegno dei più deboli, dove la solidarietà, l’aiuto e il supporto verso i più fragili si sono concretizzati in un progetto al servizio dell’uomo. Un’opera a cui il sacerdote ha legato tutta la sua vita e che nonostante le tante difficoltà incontrate, oggi, grazie anche ai riconoscimenti ottenuti nel corso degli anni, rappresenta un’eccellenza in campo sanitario, ma anche della ricerca scientifica e della formazione

Colpito dalle condizioni dei disabili mentali, dopo un viaggio a Lourdes nel 1950, il giovane religioso raduna attorno a sé un gruppo di volontarie consacrate per aprire una casa di accoglienza per disabili. «L’idea di creare questa struttura per aiutare i deboli era nel suo dna», racconta a Meridionews Silvestro L’Episcopo, consulente del lavoro che per 43 anni è stato uno dei più stretti collaboratori di padre Ferlauto e diventato oggi testimone privilegiato di un progetto profetico. «È iniziato tutto con una stanza presa in affitto in via Conte Ruggero, nel centro storico di Troina – prosegue L’Episcopo -. Ricordo ancora padre Ferlauto e le volontarie con il camice, quando si decise di ampliare i locali, mentre scaricavano i mattoni dai camion, oltre ad accudire le prime persone che cominciavano ad arrivare nella struttura. Padre Ferlauto non ha solo realizzato mentalmente l’Oasi ma anche fisicamente». 

Un centro immaginato intenzionalmente a Troina, un paese marginale negli anni Cinquanta, appollaiato su una montagna a 1100 metri sul livello del mare, nel cuore della Sicilia. In questo contesto critico fiorisce e matura l’idea di prendersi cura degli altri. «L’ha chiamata Oasi perché nel deserto di questa zona è nato un rifugio della pace – aggiunge L’Episcopo -. Padre Ferlauto amava le sfide e ha scommesso volutamente su questo territorio. Era uomo di grande fede ma anche di grande coraggio». Binomio inscindibile, quello tra uomo e Dio, definito dal sacerdote troinese come «il socio di maggioranza» di questo straordinario progetto, che ha permesso a padre Ferlauto di distaccarsi dalla caratteristica prudenza ecclesiastica e di dimostrare che, nonostante ci si trovi in condizioni impossibili, si può immaginare e realizzare una società inclusiva e solidale, definita città aperta dallo stesso fondatore, dove deboli e forti possono avere le stesse opportunità e che una convivenza con i disabili non solo è possibile ma si può arrivare anche a una condivisione. 

«La lungimiranza di padre Ferlauto si ritrova anche nello statuto della società fondata nel 1953 – ricorda L’Episcopo -. L’articolo otto stabilisce infatti che gli utili non verranno ripartiti tra i soci bensì reinvestiti nelle attrezzature e nell’ampliamento della struttura. Cosa molto comune oggi, non di certo 60 anni fa. È stato un antesignano anche da questo punto di vista». Forte della presenza di un socio di maggioranza e con un primo azionista di tutto rispetto, il sogno del sacerdote comincia a diventare realtà. «Il primo contributo che ha ricevuto padre Ferlauto è arrivato da Pio XII – racconta L’Episcopo -. Ha avuto l’occasione di avvicinare il pontefice e di consegnargli una lettera con la richiesta di un supporto economico. Tramite il vescovo di Nicosia ha ricevuto 500mila mila lire e con questa somma, offerta personalmente dal Papa, pagò la prima rata dell’affitto della casa d’accoglienza, che poi fu chiamata domus Maria». 

Capacità e volontà, desiderio di fare qualcosa per gli altri e disponibilità nel mettere la propria vita al servizio di un’idea. Non limitandosi solo a pregare ma anche ad operare. «I troinesi accolsero questa idea con scetticismo – aggiunge L’Episcopo -. Lo definivano un ospizio. Neanche noi, amministratori di allora, abbiamo capito subito di cosa potesse trattarsi e cosa sarebbe stato realizzato. È stato un cammino tortuoso, perché di vicissitudini poco confortanti ce ne sono state parecchie, ma bello e intenso. L’insegnamento di padre Ferlauto lo leggiamo oggi in tutto quello che vediamo e se oggi l’Oasi è un punto di riferimento lo si deve alla sua straordinaria figura. Padre Ferlauto non si è mai fatto contaminare dalle diverse situazioni che ha dovuto affrontare. L’oasi – conclude – è linda e pulita perché lui l’ha tenuta indenne da qualsiasi compromesso». 

Salvo Caniglia

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