Aria condizionata non funzionante – sostituita da un vecchio e rumoroso ventilatore – e assenza di un rappresentante della pubblica accusa. Ritardi sulla tabella di marcia e disservizi fanno da iniziale cornice all’ultima udienza, dedicata alle difese, del processo per corruzione elettorale per le Regionali 2017 in cui è imputato il vicepresidente del Consiglio comunale di Catania Riccardo Pellegrino. L’esponente di Forza Italia, tornato in municipio alle ultime Amministrative, è stato tra i primi a raggiungere l’ex pretura di via Francesco Crispi. Un caffè al volo con uno dei suoi due legali, l’avvocato Luca Mirone, poi si accomoda in un angolo dell’aula Santoro. Quella di Pellegrino, però, non è stata una presenza passiva. Insieme al politico, nei cui confronti la procura ha chiesto una condanna a tre anni, sono imputati il padre Filippo, Antonio e Salvatore Di Benedetto, Gesualdo Briganti, Antonio Castorina, Andrea Guarrera e Giuseppe Panebianco. Con loro anche due ex sindaci, rispettivamente di Aci Catena e Mascali, Ascenzio Maesano e Biagio Susinni. Presente il primo, assente il secondo.
Il momento saliente dell’udienza arriva quando Pellegrino prende la parola per delle dichiarazioni spontanee. «Non ho mai comprato voti o chiesto ad altri di acquistarli per me – spiega rivolgendosi alla giudice monocratica Dora Anastasi – Io da 18 anni faccio attività politica, nonostante sia nato e cresciuto a San Cristoforo. Nel 2017, non avevo conoscenze in tutti i Comuni ed è vero che mi sono stati presentati dei personaggi per aiutarmi. Ci sono delle spese da affrontare per una campagna elettorale ma non mi sono mai permesso di comprare voti. Ho iniziato a fare politica a 14 anni quando, durante le Amministrative, venivano date le ricariche telefoniche con i santini elettorali. Il pubblico ministero non ha mai citato alcuni episodi». Riferimento, quest’ultimo, al presunto tentativo di realizzare uno scoop da parte un giornalista. «Ricordo che nella mia segreteria a piazza Cavour vennero delle persone dicendo di essere disposte a farmi la campagna elettorale in cambio di soldi, e tra loro c’era una giornalista. Sono stati mandati via tutti quanti».
Alle parole di Pellegrino seguono le arringhe dei suoi avvocati. Tra i nodi trattati l’utilizzabilità delle intercettazioni. «L’accusa si basa solo sulle interpretazioni di questi dialoghi e sulle suggestioni che sono state create dagli inquirenti. Alla Dia, a processo, è stato chiesto se esisteva l’identificazione di una sola persona a cui è stato dato denaro o è stato promesso per votare Pellegrino. Ci hanno risposto di no – spiega Mirone – Le somme erano solo per l’attività elettorale ma non si può parlare di corruzione. Pellegrino, negli ultimi sei anni, è stato a processo tre volte e altrettante volte è stato archiviato su proposta degli stessi pm. Ci rammarica molto non avere un confronto diretto con la procura», sottolinea l’avvocato indicando l’assenza in aula di un magistrato durante le arringhe di oggi.
Presente ma in silenzio tra il pubblico dell’aula anche l’ex sindaco Maesano. Volto noto del mondo politico locale, con un passato anche da assessore provinciale, ma negli ultimi anni finito al centro di diverse indagini. Sulle spalle dell’ex primo cittadino pesa già una condanna per i fatti legati alle mazzette prese per l’affidamento del servizio informatico negli uffici comunali. Per i magistrati, durante le Regionali 2017 avrebbe messo in contatto Pellegrino, candidato all’Ars ma non eletto, con Panebianco per consentire la compravendita di voti. L’ex sindaco, in un primo momento sicuro candidato, dovette rinunciare alla corsa dopo essere stato arrestato. «Un incidente di percorso – lo definisce l’avvocato Giuseppe Marletta che difende l’ex sindaco insieme a Vincenzo Mellia – poi probabilmente la scelta è ricaduta su Pellegrino, che apparteneva allo stesso gruppo politico. Una campagna elettorale è un momento importante – continua il legale – credo che gli inquirenti abbiano poca conoscenza in materia politica. Il rapporto tra cittadino e istituzioni non ha filtri, o si è sollecitati da un candidato o non c’è più una spinta ad andare a votare. In questo processo non c’è nessuno scambio e quindi manca il reato stesso».
Per la difesa, i presunti passaggi di soldi non sarebbero serviti quindi per comprare consensi ma elargiti solo per fronteggiate le spese elettorali. «Pagare una pizza per 20 persone costa 400 euro – conclude Marletta – Ammesso che si faccia riferimento alla restituzione di somme in questo processo siamo comunque fuori da ogni ipotesi di reato». Nelle intercettazioni in cui compare il satanico Maesano, come lo definisce l’avvocato Mellia nella sua lunga arringa piena di citazioni di filosofi e studiosi del diritto, si parlava di soldi per la campagna elettorale e non di compravendita di voti per 50 euro a consenso. «Chiedo l’assoluzione perché il fatto non sussiste», conclude. Stessa richiesta avanzata dai legali di Pellegrino, con le ultime battute affidate all’avvocato Lipera: «Da questa indagine viene fuori che c’è un voto di scambio, ma contro ignoti, e che le intercettazioni non sono utilizzabili. Anche se lo fossero, sono degli spunti che andrebbero poi confermati e non è stato fatto. A questo punto, siamo davanti a una ostinazione. Pellegrino è un ragazzo onesto che è sopravvissuto a ogni tipo di attacco e oggi è vicepresidente di un Consiglio. Solo una persona innocente poteva andare avanti nonostante le sofferenze».
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